Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

lunedì 29 novembre 2010

Le parole rivelatrici


Ciascuno tende a pensare in questo modo:
ciò che è identico alla mia opinione, lo approvo;
ciò che non è identico alla mia opinione, lo combatto;
l'opinione identica alla mia la ritengo vera;
l'opinione diversa dalla mia, la giudico falsa.
...
Ogni cosa ha la sua verità;
ogni cosa ha la sua possibilità.
...
Chi può avere una visione durevole dell'universo
incessantemente mutevole,
se non colui le cui parole variano quotidianamente,
in conformità della legge naturale.
...
La nassa serve a prendere il pesce;
quando il pesce è preso, dimenticate la nassa.
...
La parola serve ad esprimere l'idea;
quando l'idea è colta, dimenticate la parola.
Potrò mai incontrare qualcuno che dimentica la parola,
per scambiare due parole con lui?

Zhuang Zi,  XXVII/XXVI

venerdì 26 novembre 2010

Intelligenza viaggia verso Nord

Intelligenza viaggiò, verso il nord, fino all'acqua oscura, scalò il monte dell'Indistinzione e incontrò Enunciato del non-agire. Intelligenza gli disse: " Vorrei farvi delle domande. Per conoscere il Tao, che cosa si pensa e su cosa si riflette? Per restare nel Tao, quale posizione si adotta e a che cosa ci si appica? Per possedere il Tao, da dove si parte e quale strada si segue?". Enunciato del non-agire non dette nessuna risposta a queste domande. Non che non volesse, ma non sapeva cosa rispondere.

Non avendo ottenuto nessuna risposta, Intelligenza tornò da dove veniva, prese la direzione dell'acqua bianca, verso sud, si arrampicò sulla collina del Vuoto del dubbio e vide il pazzo che non sa rispondere. Gli fece le stesse domande. "Ah" disse il pazzo che non sa rispondere "io lo so, e adesso te lo dico".
Ma benchè volesse parlare, dimenticò quello che voleva dire.
Zhuang Zi, XXII

lunedì 22 novembre 2010

I valori del PD (Partito Daoista)

Ovvero: analisi semiseria della visione politica taoista. Se si fa riferimento ad una concezione largamente diffusa del taoismo come saggezza individuale, l’esistenza di una teoria politica nel Dao De Jing può sembrare una contraddizione. Ma le cose non stanno proprio così: la polemica con l’establishment confuciano è rovente …

I Cinque Punti di Lao

1) Anticonformismo: la cultura, un bene secondario

Dice il buon Lao Zi:

“Come è ambigua la Grande Via! Essa può andare a sinistra o a destra.” Dao De Jing, XXXIV

“Tutti dicono che la mia Via, pur essendo grande, sembra al di fuori di ogni convenzione. In realtà, proprio perché è grande, sembra essere fuori da ogni convenzione. Se fosse convenzionale, già da tempo sarebbe minuta!” Dao De Jing, LXVII

Qui si intravvede subito la polemica con i confuciani: la Via del maestro Lao non può essere legata alle «convenzioni» tradizionali propagate dai seguaci del maestro Kong. Ma quale era la visione «politica» dei confuciani?



Per Confucio innanzitutto c'è lo «studio»: la finalità pratica dell’apprendimento consiste nella formazione di un «uomo di valore» sul piano morale e capace di aiutare gli altri nel sociale: in tal modo si delinea da subito il destino «politico» dell'uomo colto che, invece di vivere appartato per meglio assolvere ad un ruolo di coscienza critica, avverte invece la responsabilità di impegnarsi nel processo sociale e di governo.

Ed ecco che Lao Zi ribatte: il procedimento di comprensione del Dao è a ritroso, «controcorrente» rispetto ad ogni procedura consueta:

Praticare lo studio è sempre più accrescersi
Praticare il Dao è sempre più decrescere
Decrescere al di là del decrescere, fino ad attingere al non-agire
Non agendo, non v’è nulla che non si faccia.
(Dao De Jing, XLVIII)

E’ qui esplicita l’opposizione alla via confuciana, fondata sull’apprendere, che è cammino in avanti. Per Zhuang Zi praticare il Dao è procedere su un «cammino senza cammino» per «imparare a disimparare».

E’ impossibile parlare del mare ad una rana che abita in un pozzo;
Vive in uno spazio troppo limitato.
E’ impossibile parlare del ghiaccio all’insetto che vive solo d’estate;
Vive in un tempo troppo limitato.
E’ impossibile parlare del Dao ad un letterato;
è limitato dalla ristrettezza dell’insegnamento ricevuto.
(Zhuang Zi , XVII)

2) La leadership : «uomo di valore» o «uomo vero» (come selezionare i candidati alle primarie)

Una delle qualità dell’«uomo di valore» (junzi) confuciano è il «senso di umanità», che si manifesta in virtù di tipo relazionale fondate sulla reciprocità e sulla solidarietà. La relazione che in natura fonda l'appartenenza di ogni individuo alla comunità umana è quella del figlio nei confronti del padre. Sulla «pietà filiale» si fonda la relazione politica tra suddito e principe, la relazione familiare tra moglie e marito e quella sociale tra amici. Poiché la famiglia è percepita come una estensione dell'individuo, lo stato come una estensione della famiglia, e poiché il principe è rispetto ai suoi sudditi ciò che un padre è rispetto ai suoi figli, non vi è soluzione di continuità tra etica e politica.

ll sovrano, nell'ideale confuciano, dovrebbe incarnare spontaneamente il senso di umanità, imponendosi con la benevolenza e non con la forza, dovrebbe possedere la «virtù» (De), che non è tanto la virtù in senso morale, in opposizione al vizio, quanto piuttosto la «virtus» latina intesa come ascendente naturale, carisma, che consente ad una persona di affermarsi senza nessuna coercizione. Come potete vedere, il concetto di «dittatura morbida» affonda le sue radici nel tempo!

C'è un celebre detto, attribuito a Confucio in risposta al Duca Jing di Qi che lo interrogava sull'arte di governare:

«Che il sovrano agisca da sovrano, il ministro da ministro, il padre da padre, il figlio da figlio» (Dialoghi XII,11)

«…se i nomi non sono corretti, non si possono fare discorsi coerenti. Se il linguaggio è incoerente, gli affari di governo non si possono gestire. Se questi sono trascurati, i riti e la musica non possono fiorire. Se i riti e la musica sono trascurati, le pene ed i castighi non possono essere giusti. Se i castighi sono ingiusti, il popolo non sa più come muoversi. Ecco perché l'uomo di valore usa soltanto nomi che implicano discorsi coerenti, e parla soltanto di cose che può mettere in pratica. Ecco perché l'uomo di valore è prudente in quello che dice.»(Dialoghi XIII, 3)

La tradizione vuole che Confucio, dopo avere assunto importanti incarichi di governo, abbia poi lasciato il paese natale per protestare verso il malgoverno del suo sovrano: tentò in seguito di offrire i propri servigi e i suoi consigli ai sovrani degli stati vicini, ma senza grande successo … evidentemente , la chiarezza non era (ai suoi tempi, non oggi) una dote apprezzata nel mondo politico!

Al contrario, l’uomo vero (zhenren), il Santo, è secondo i taoisti, esente da qualunque preoccupazione morale, politica, o sociale, da qualsiasi inquietudine metafisica, da qualsiasi ricerca di efficienza, da qualsiasi conflitto interno o esterno, egli ha lo spirito libero e vive in perfetta unità con se stesso e con ogni cosa. La potenza del Santo è descritta più volte come invincibile, inalterabile, perché è la potenza stessa ,o «virtù» (De) del Dao.

Colui che possiede la potenza suprema non può essere bruciato dal fuoco, né annegato dall’acqua, né offeso dalla calura e dal gelo, né sbranato dalle bestie selvagge. Non che ignori tutto ciò: ma egli è vigile nella sicurezza come nel pericolo, sereno nell’afflizione come nella felicità, accorto nel suo avanzare come nel ritirarsi: non vi è nulla che lo possa turbare

Per questo, il Santo:

Non si esibisce, e perciò risplende
Non si afferma, e perciò di manifesta
Non si vanta, e perciò riesce
Non si gloria, e perciò diventa il capo
Infatti, appunto perché non lotta,
non c’è nessuno nell’impero che possa lottare contro di lui.
(Dao De Jing, XXII)

3) Il governo del «non-fare»

Mentre i confuciani esortano l’uomo ad esaltare la propria umanità, l’atteggiamento politico taoista è invece basato sul concetto del «non-agire» (wu wei), che non consiste nel «non far nulla» nel senso di incrociare passivamente le braccia, ma nell’astenersi da ogni azione aggressiva, diretta, intenzionale, interventista, al fine di lasciare agire l’efficacia assoluta, la potenza invisibile (de) del Dao. Il Santo è colui che:

«aiuta i diecimila esseri a vivere secondo la loro natura, guardandosi dall’intervenire»

E ancora, sentite come dovrebbe comportarsi il Capo del Governo:

La Virtù del Sovrano mira a conformarsi al Dao: questa virtù ha per regola il non-agire.
Colui che non agisce mette il mondo al proprio servizio e potrebbe anche di più,
colui che agisce si mette al servizio del mondo e non ne è all’altezza.
Per questo il non agire era onorato nell’antichità,
Se il superiore non agisce e i suoi inferiori neppure,
gli inferiori possiederanno la stessa virtù del superiore e così non vi saranno ministri.
Così pure se gli inferiori agiscono e il superiore agisce ugualmente,
superiore ed inferiori avranno la stessa virtù e così non ci sarà sovrano.
Quindi il superiore non deve agire, mettendo il mondo al proprio servizio,
mentre gli inferiori devono agire per mettersi al servizio del mondo.
(Zhuang Zi, XIII)

Confucio aveva detto:

«Governare (zheng) equivale ad essere nella rettitudine (zheng)» (Dialoghi XII,17)

Il motto politico di Lao Zi è:

«reggere un grande stato è come friggere i pesciolini» (Dao De Jing,LX)

Sarà che amo il pesce fritto, ma questa mi sembra la migliore definizione di «buon governo»!

Quando si frigge un pesciolino, non bisogna toccarlo e rivoltarlo, altrimenti si rischia si schiacciarlo: così non bisogna stancare il popolo con continui cambiamenti e amministrativi e nuove leggi.

E Zhuang Zi incalza:

«Chi sa governare il mondo è come chi sa pascolare I cavalli.
Si limita ad allontanare dai suoi cavalli tutto ciò che potrebbe nuocere loro» (Zhuang Zi, XXIV)

Lao Zi aggiunge:

«Per governare gli uomini e servire il cielo, niente vale come la moderazione» (Dao De Jing,LIX)

Se il popolo è difficile da governare, ne è causa l’attività dei suoi superiori:
ecco perché è difficile da governare» (Dao De Jing, LXXV)

Evidentemente Lao Zi non aveva simpatia per il «governo del fare»… Emerge una concezione di «stato leggero»: meno ministri? semplificazione legislativa? federalismo fiscale? Decentramento amministrativo? Viva i fannulloni! Chissà cosa avevano in mente …

Ma è indicato in questo passo, secondo me, il massimo della intelligenza politica del maestro Lao:

«Così si esprime il governo del Santo:
svuotare i cuori
e riempire i ventri
indebolire la volontà
e rafforzare le ossa
precludere sempre al popolo sapere e desiderio
fare in modo che gli scaltri non osino agire
agire tramite il non-agire
e tutto sarà nell’ordine.»
(Dao De Jing, III)

L’uso sapiente dei mass media per rammollire il cervello delle persone (il “cuore” in cinese rappresenta, come sappiamo la “ragione” e non il “sentimento”) , e creare disinformazione: di una modernità sconvolgente … L’unica cosa che i governanti di oggi stanno dimenticando è quella di “riempire i ventri”… (anche i romani dicevano “panem e circenses”…)

«Se il popolo ha fame, ne è causa la quantità di tasse consumate dai suoi superiori:
ecco perché ha fame.

“Meno tasse per tutti” … non manca niente!

4) No alla guerra (pacifismo o neutralismo?)

Ma vediamo come la pensano i taoisti in materia di difesa e politica estera: il Dao De Jing parte dalla constatazione assai semplice, che la forza finisce sempre per ritorcersi contro se stessa:

Non cercare di primeggiare con le armi,
perché primeggiare con le armi chiama risposta.
(Dao De Jing,XXX)



Colui che agisce distruggerà,
Colui che prende perderà
Il Santo, non agendo su nulla, nulla distrugge,
Non impadronendosi di nulla, nulla ha da perdere
(Dao De Jing,LXIV)


Così dunque il non-agire cerca di spezzare il cerchio della violenza, assorbendo l’aggressione, astenendosi dall’aggredire di rimando. Per esemplificare il paradosso il Lao Zi fa ricorso alla metafora dell’acqua.

L’uomo del bene supremo è come l’acqua: l’acqua, benefica a tutti, di nulla è rivale.
Essa ha dimora nei bassifondi, da tutti disdegnati, ed alla Via è assai vicina.
Niente al mondo è più cedevole e più debole dell’acqua
Ma per intaccare ciò che è duro e forte, niente la supera
Niente potrebbe prenderne il posto
Che la debolezza vince la forza
E la mollezza vince la durezza
Non vi è nessuno sotto il Cielo a non saperlo
Benché nessuno lo sappia mettere in pratica.
(Dao De Jing,LXXVIII)


Lo aveva capito solo Gandhi :

“ La non-violenza, nella sua condizione dinamica, significa sofferenza consapevole. Non consiste in una docile sottomissione alla volontà del malvagio, ma nel contrapporre la propria anima alla volontà del tiranno”

In virtù della logica naturale, per cui ogni cosa che sale dovrà necessariamente ridiscendere, il fatto di rafforzare un nemico può al limite servire ad affrettane la caduta

Ciò che si deve chiudere, bisogna prima aprirlo
Prima consolidare ciò che è da indebolire
Prima favorire ciò che è da distruggere
Prima dare ciò che è da prendere
Questa si chiama «visione sottile»
Il molle vince il duro, il debole vince il forte.
(Lao Zi,36)

La «visione sottile»… troppo sottile per essere applicata?

5) Economia e sviluppo

La visione “ciclica” dell’universo taoista si rispecchia nelle loro visione della economia: questa idea fu certamente desunta dalla secolare esperienza della vita contadina, l’alternarsi del giorno e della notte, l’alternarsi delle stagioni, l’alternarsi dei cicli produttivi, ma in seguito fu assunta come regola di vita. I taoisti credono che ogni volta che una situazione si sviluppa fino alle estreme conseguenze essa sia costretta a trasformarsi nel suo opposto; «gli esseri, giunti al culmine, non possono che fare ritorno». Secondo la legge ciclica del Dao, tutto ciò che è forte, duro, superiore, è stato all’inizio debole, molle, inferiore ed è destinato a ridiventarle.

Tutti al mondo riconoscono il bello come bello;
in questo modo si ammette il brutto.
Tutti riconoscono il bene come bene;
in questo modo si ammette il male.
Difatti l’essere e il non-essere si generano l’un l’altro,
il difficile e il facile si completano l’un l’altro,
L’alto e il basso si invertono l’un l’altro
Il prima e il dopo si susseguono l’un l’altro
(Lao Zi,2)

Secondo questa legge, non esiste crescita infinita, non esiste sviluppo illimitato, ogni cosa prima o poi ritorna da dove era venuta.

Coloro che accumulano sempre più denaro per aumentare la loro ricchezza finiranno con l’essere poveri. La moderna società industriale che cerca continuamente di alzare il livello di vita e così facendo abbassa la qualità della vita per tutti i suoi membri è un esempio eloquente di questa antica saggezza cinese.

Mentre i confuciani valorizzano il Mezzo, precario e mobile equilibrio generatore di armonia, i taoisti sono alla ricerca del «Centro» (ce ne è per tutti!)

Ma che cosa è il “Centro? Il non-agire si configura come una modalità per ritornare al nostro stato di natura, quale era alla nostra nascita. Il ritorno alla prima infanzia evoca qui non l’innocenza ma l’Origine perduta. Sul piano collettivo si tratta di tornare ad uno stato originario, anteriore alla formazione della società organizzata, esente da ogni forma di aggressione o di costrizione della società sugli individui; un mondo in cui l’assenza di morale, di leggi, di punizioni non indice gli individui ad essere a loro volta aggressivi, e in cui non vi è dunque guerra o conflitto, né spirito di competizione o volontà di dominio. Ecco la visione idilliaca di Lao Zi:

E’ un piccolo paese con pochi abitanti
Anche se avessero utensili per dieci o cento uomini
Essi non se ne servirebbero
Temono la morte e non se ne vanno a migrare lontano
Anche se avessero barche o carri non ne farebbero uso
Anche se avessero armi non ne farebbero sfoggio
Essi trovano gustoso il loro cibo
E ritengono adeguate le loro vesti
Comode le loro dimore
Piacevoli le loro usanze
Da questo paese a quello vicino
Si odono cantare il galli e i cani abbaiare
Ma coloro che vi abitano giungeranno alla morte in vecchiaia
Senza essersi mai frequentati
(Dao De Jing, LXXX)

Confrontiamo le parole di Lao Zi con quelle di Maurizio Pallante (movimento per la Decrescita Felice):

“La decrescita è elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso; distinguere la qualità dalla quantità; desiderare la gioia e non il divertimento; valorizzare la dimensione spirituale e affettiva; collaborare invece di competere; sostituire il fare finalizzato a fare sempre di più con un fare bene finalizzato alla contemplazione. La decrescita è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ri-collochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio.”

Per concludere, I taoisti non negano il rapporto dell’uomo con il mondo. Il Santo è colui che semplicemente riesce ad intrattenere tale rapporto senza lasciarsi «reificare dalle cose»: per Zhuang Zi si tratta di liberarsi, di svuotarsi del mondo, ma non per negarlo in nome della sua impermanenza, che è tematica squisitamente buddista. Fondendosi con il Dao, l’uomo ritrova invece il suo centro e non è più ferito da ciò che lo spirito umano considera abitualmente come sofferenza; declino, malattia, morte.

Bisogna accettare le cose, anche se sono senza valore.
Bisogna tenere conto del popolo, per vile che sia.
Bisogna eseguire il proprio compito, anche se non si è sorvegliati.
Bisogna formulare le leggi, nonostante la loro imprecisione.
Bisogna compiere i propri doveri anche se non hanno in sé nessuna attrattiva.
Amare e dispensare il proprio amore, ecco la bontà.
Vivere secondo le prescrizioni senza esserne prigionieri.
Dosare la giusta misura secondo il punto di vista elevato, ecco la virtù.
L’unità che si adatta incessantemente alle mutevoli variazioni,
ecco il Dao.



sabato 20 novembre 2010

Il governo del "non-fare"


«Lascia perdere la promozione dei più capaci


E il popolo cesserà di contendere

Non dare valore a cose rare

E il popolo cesserà di rubare

Non mostrargli ciò che induce alla cupidigia

E il popolo avrà il cuore in pace.

Così si esprime il governo del Santo:

svuotare i cuori

e riempire i ventri

indebolire la volontà

e rafforzare le ossa

precludere sempre al popolo sapere e desiderio

fare in modo che gli scaltri non osino agire

agire tramite il non-agire

e tutto sarà nell’ordine.»

(Lao Zi, III)

mercoledì 17 novembre 2010

Parliamo di politica

L’esistenza di una teoria politica nel Lao Zi può sorprendere, se si fa riferimento ad una concezione largamente diffusa del taoismo come saggezza individuale. In effetti soltanto il Zhuang Zi si pronuncia per un deliberato disimpegno dalla politica, che nel Lao Zi rappresenta invece un aspetto primario della pratica del non-agire.

Confucio aveva detto:

«Governare (zheng) equivale ad essere nella rettitudine » (Dialoghi XII,17)

Il motto politico di Lao Zi è:

«reggere un grande stato è come friggere i pesciolini» (Lao Zi,60)

Quando si fa cuocere un pesciolino, non bisogna toccarlo e rivoltarlo, altrimenti si rischia si schiacciarlo: così non bisogna stancare il popolo con continui cambiamenti e amministrativi e nuove leggi.

E Zhuang Zi incalza:

«Chi sa governare il mondo è come chi sa pascolare I cavalli.
Si limita ad allontanare dai suoi cavalli tutto ciò che potrebbe nuocere loro» (Zhuang Zi, XXIV)

«Per governare gli uomini e servire il cielo, niente vale come la moderazione» (Lao Zi,59)

«Se il governo è miope, il popolo è puro.
Se il governo è chiaroveggente, il popolo è pieno di difetti» (Lao Zi,58)


«Se il popolo ha fame, ne è causa la quantità di tasse consumate dai suoi superiori:
ecco perché ha fame.
Se il popolo è difficile da governare, ne è causa l’attività dei suoi superiori:
ecco perché è difficile da governare»

Viste le recenti "esternazioni" televisive, possiamo qualificare queste posizioni di "destra" o di "sinistra" ?

martedì 16 novembre 2010

Non "parliamone" più...

Il Dao di cui si parla non è il vero Dao

I Nomi che si usano non sono i veri Nomi
Il nome “non-essere” indica l’inizio del Cielo e della Terra
Il nome “essere” indica la madre dei diecimila esseri
Così, grazie al costante alternarsi del “non-essere” e dell’ “essere” che si vedranno dell’uno il prodigio, dell’altro i confini.
Questi due, sebbene abbiano un’origine comune,
sono designati con nomi diversi.
Ciò che essi hanno in comune, io lo chiamo il Mistero,
il Mistero Supremo, la porta di tutti i prodigi.


(Lao Zi,1)

domenica 14 novembre 2010

L'immanenza del Dao

I taoisti erano convinti che esistesse una realtà ultima, soggiacente alla molteplicità delle cose e degli eventi che osserviamo: essi chiamarono questa realtà Dao, che significa Via. Il Dao è la via, il procedere dell’universo, l’ordine della natura. Nel suo originario significato cosmico, il Dao è la realtà ultima, indefinibile, un processo dinamico in cui tutte le cose sono immerse, che produce il flusso ininterrotto dei mutamenti delle cose. I confuciani ne diedero una interpretazione differente: essi parlarono del Dao dell’uomo o del Dao della società umana, intendendo con esso la giusta via in senso morale.

Il concetto di entità suprema nel taoismo non si identifica con un'entità senziente, un dio giudice, padre, padrone, che osserva il mondo dall'alto e gestisce le sorti degli uomini. Al contrario l'entità suprema taoista è energia pura, che pervade l'intero universo. Il Dio del taoismo è il Dao, la natura stessa di cui l'uomo fa parte, il ciclo perpetuo che provoca il mutare e il divenire di tutte le cose. Diventa chiaro allora che Dio non è, come in occidente, l'Essere primo, assoluto e trascendente che sta al di sopra e prima di tutti gli esseri concreti, ma un principio o energia immanente che è dentro il cosmo, la natura e la società, e la guida a perfezionamento. Non è un essere personale, ma coincide con l'azione della natura, impersonale e imparziale. Tutto è divenire, cambiamento, secondo un principio ordinatore spontaneo, il Dao, uno, indicibile, immutabile, eterno, impersonale, divino. Con la solita irriverenza, così Zhuang Zi si esprime a proposito:

Il Maestro Dong Guo domandò al Maestro Zhuang: «Dov’è ciò che chiamate il Dao
«Ovunque» disse Zhuang Zi.«Bisogna localizzarlo» riprese Dong Guo .
«In questa formica» disse il maestro Zhuang. «E più in basso?»
«In questo filo d’erba». « E più in basso ancora?»
«In questo letame» disse il Maestro Zhuang.
Il Maestro Dong Guo non aggiunse altro.
(Zhuang Zi, XXII)

sabato 13 novembre 2010

Il Santo

Il «non-agire» non consiste nel «non far nulla» nel senso di incrociare passivamente le braccia, ma nell’astenersi da ogni azione aggressiva, diretta, intenzionale, interventista, al fine di lasciare agire l’efficacia assoluta, la potenza invisibile (de) del Dao. Il Santo è colui che «aiuta i diecimila esseri a vivere secondo la loro natura, guardandosi dall’intervenire». Per questo, il Santo:


Non si esibisce, e perciò risplende
Non si afferma, e perciò di manifesta
Non si vanta, e perciò riesce
Non si gloria, e perciò diventa il capo
Infatti, appunto perché non lotta,
non c’è nessuno nell’impero che possa lottare contro di lui.
(Lao Zi, 22)

Mentre i confuciani esortano l’uomo ad esaltare la propria umanità, Zhuang Zi lo esorta invece a fonderla con il Dao. Il tema centrale del non-agire conduce così a quello del ritorno alla natura originaria, ritorno all’Origine, al Dao.

«Uccidete i santi e liberate i banditi, il mondo intero ritroverà l’ordine:
morti i santi, i banditi non sorgono più» dirà Zhuang Zi.


L’uomo vero 真人(zhenren), il Santo, è secondo Zhuang Zi, esente da qualunque preoccupazione morale, politica, o sociale, da qualsiasi inquietudine metafisica, da qualsiasi ricerca di efficienza, da qualsiasi conflitto interno o esterno, egli ha lo spirito libero e vive in perfetta unità con se stesso e con ogni cosa. La potenza del Santo è descritta più volte come invincibile, inalterabile, perché è la potenza stessa ,o «virtù» (de) del Dao.

Colui che possiede la potenza suprema non può essere bruciato dal fuoco, né annegato dall’acqua, né offeso dalla calura e dal gelo, né sbranato dalle bestie selvagge. Non che ignori tutto ciò: ma egli è vigile nella sicurezza come nel pericolo, sereno nell’afflizione come nella felicità, accorto nel suo avanzare come nel ritirarsi: non vi è nulla che lo possa turbare

mercoledì 10 novembre 2010

Wu Wei: il non-agire

Di fatto, ogni volta che la mia azione è volontaria, ogni volta che cerca di «imporre il mio io» andando controcorrente rispetto al corso naturale delle cose, essa dipende dall’Uomo o da ciò che i taoisti chiamano wei (l’agire che forza la natura). Quando l’azione va nel senso delle cose, quando si lascia portare dalla corrente, come il nuotatore che segue il dao dell’acqua senza cercare di imporvi il suo io, essa dipende da ciò che è naturale (ossia dal Cielo o dal Dao) ed è quello che i taoisti chiamano 无为 wu wei (letteralmente il «non-agire», ma meglio «l’agire che aderisce alla natura»). Tutto ciò che nell’uomo è volizione, costruzione, istituzione di distinzioni, non rappresenta che la parte periferica del suo essere: soltanto quando la lascia cadere, l’uomo ritrova il suo proprio centro. Ma cerchiamo di capire meglio cosa si intenda davvero per «non-agire».: il Lao Zi parte dalla constatazione assai semplice, che la forza finisce sempre per ritorcersi contro se stessa:

Non cercare di primeggiare con le armi,
perché primeggiare con le armi chiama risposta.
(Lao Zi,30)


Colui che agisce distruggerà,
Colui che prende perderà
Il Santo, non agendo su nulla, nulla distrugge,
Non impadronendosi di nulla, nulla ha da perdere
(Lao Zi,64)

Così dunque il non-agire cerca di spezzare il cerchio della violenza, assorbendo l’aggressione, astenendosi dall’aggredire di rimando. Per esemplificare il paradosso il Lao Zi fa ricorso alla metafora dell’acqua.

L’uomo del bene supremo è come l’acqua: l’acqua, benefica a tutti, di nulla è rivale.
Essa ha dimora nei bassifondi, da tutti disdegnati, ed alla Via è assai vicina.
Niente al mondo è più cedevole e più debole dell’acqua
Ma per intaccare ciò che è duro e forte, niente la supera
Niente potrebbe prenderne il posto
Che la debolezza vince la forza
E la mollezza vince la durezza
Non vi è nessuno sotto il Cielo a non saperlo
Benché nessuno lo sappia mettere in pratica.
(Lao Zi,78)

domenica 7 novembre 2010

La spontaneità

La storia del cuoco Ding, come quella del carradore Bian, esemplifica un tema centrale del pensiero taoista:
la spontaneità (自然 ziran, letteralmente «da per se, secondo natura»).
Tale spontaneità, lungi dal esaltare una qualsivoglia libertà alla maniera romantica, va invece associata all’ «inevitabile» al «percorso necessario» seguito dal coltello del cuoco. Nella spontaneità che consiste nell’accordarsi alle cose non c’è posto per l’io: un atto sarà dunque «tale di per sé» soltanto a condizione di non aggiungere nulla alla situazione, ma di rifletterla perfettamente, alla maniera di uno specchio.

L’uomo perfetto fa del proprio cuore uno specchio. Non si attacca alle cose, né va loro incontro. Si limita a rispondervi, senza cercare di trattenerle. E’ così che è in grado di dominare le cose senza venirne in se stesso toccato.
E ancora

Confucio contemplava le cascate di Luliang. L’acqua cadeva da un’altezza di trecento piedi e la sua schiuma si spargeva per quaranta leghe. Neppure una tartaruga o un coccodrillo vi avrebbero potuto nuotare, ma all’improvviso Confucio vide un uomo tra i flutti. Credendo che si trattasse di un disperato che voleva morire, ordinò ai suoi discepoli di costeggiare la sponda per trarlo in salvo. Ma qualche centinaio di passi più in là, l’uomo uscì dall’acqua e coi capelli al vento, prese a passeggiare sulla riva cantando. Confucio lo raggiunse e gli disse: «Vi avevo preso per un demone ma ora, a guardarvi da vicino, vedo che siete un uomo in carne ed ossa. Consentitemi una domanda: possedete un metodo (dao) speciale per stare a galla in questo modo?»
«No –rispose l’uomo – non ho nessun metodo. Mi tuffo con l’afflusso e riemergo con il riflusso, seguo il dao dell’acqua senza cercare di imporvi il mio io, ed è così che sto a galla».

giovedì 4 novembre 2010

Il carradore Bian

Un giorno mentre il Duca Huan era intento a leggere nel punto più alto della sala, il carradore Bian stava rifinendo una ruota nel punto più basso. Deponendo il mazzuolo e scalpello, Bian salì dal Duca e gli rivolse questa domanda: «Posso chiedervi che cosa state leggendo?»

Il Duca rispose: «Leggo le parole dei saggi.
- Ma questi saggi sono ancora in vita?
- No, sono morti da lungo tempo.
- Dunque –concluse il carradore – quello che leggete non è altro che la feccia degli antichi.
- Come osa un carradore discutere di quello che leggo? – proruppe il Duca – Ti concedo di giustificarti, se puoi; altrimenti sarai messo a morte.
Il carradore Bian allora disse: «Il vostro servo vede le cose a partire dalla sua umile esperienza. Quando si intaglia una ruota, un colpo troppo debole non avrebbe presa, e un colpo troppo forte scivolerebbe sul legno. Né troppo piano né troppo forte: ho il colpo nella mano e la reazione nel mio spirito. Vi è in questo una abilità che non so esprimere a parole. Non ho saputo insegnarla a mio figlio, che non ha potuto apprenderla da me, e così a settant’anni eccomi ancora qui a fabbricar ruote. Gli antichi hanno portato con sé nella morte tutto quello che non hanno potuto trasmettere, e così dunque quello che state leggendo non è che la feccia degli antichi»



Il carradore parla di una esperienza paragonabile a quella del cuoco Ding: quando arriva ad un nodo delicato, sospende il suo gesto e concentra la sua attenzione finché tutto non gli diviene chiaro, ed allora taglia di un colpo solo. In tale istante vi è una perfetta identità di mano e di spirito, che non passa per l’intermediazione dell’ intelletto. Il movimento non è dettato dall’incoscienza e meno ancora dall’inconscio, ma dall’oblio della coscienza.

martedì 2 novembre 2010

La metafora del cuoco Ding

Il cuoco Ding è intento a smembrare un bue per il principe Wenhui: afferra la bestia con la mano, la spinge con la spalla e, tenendosi ben saldo sui piedi, la regge con le ginocchia. Si odono le ossa dell’animale scricchiolare da ogni parte e la lama penetrare nelle carni a ritmo di musica.



«Bravo!» esclamò il principe «come hai potuto raggiungere un’arte così perfetta?».


Il cuoco Ding posò il coltello e rispose: «Il vostro servo cerca quanto vi è di meglio, ossia il Dao, e si è lasciato alle spalle la mera tecnica. All’inizio, quando ho cominciato questo lavoro, non vedevo che buoi; nel giro di tre anni, non vedevo più il bue. Ora non vedo più l’animale con gli occhi, ma lo percepisco con lo spirito. Il mio coltello si affida alle linee della conformazione naturale: taglia lungo i grandi interstizi, si lascia guidare dalle cavità principali, non sfiora mani nervi o tendini, né mai scalfisce le ossa. Un cuoco normale consuma un coltello al mese, un buon cuoco consuma un coltello all’anno: il coltello del vostro servo è stato usato per diciannove anni, ha squartato migliaia di buoi, ma la sua lama è come nuova.


Detto questo, ogni volta che arrivo ad una articolazione complessa, prima osservo dove è la difficoltà e mi preparo con cura. Il mio sguardo si fissa, i miei gesti rallentano: si vede appena il movimento della lama e, d’un colpo solo, la giuntura è recisa. E io reso con il coltello in mano, mi guardo attorno soddisfatto, poi lo ripulisco e lo ripongo nella sua custodia.


«Magnifico!» esclamò il principe «dopo avere udito le parole del cuoco Ding, so come nutrire il principio vitale»



In questo celebre passo emerge una idea associata in Cina ad ogni pratica fisica e spirituale assieme: la nozione di 功夫 gong fu (o Kung-fu). Questo termine designa il tempo e l’energia che si dedicano a una pratica allo scopo di raggiungere un dato livello di qualità e abilità ed ha ben poco a che fare con l’idea di una vaga e beata spontaneità. Si tratta quindi dell’ apprendimento di un «saper fare» che non si trasmette attraverso le parole.