Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

venerdì 25 febbraio 2011

Il più grande cartografo della Cine del '600 era un trentino, tal Martino Martini


Confratello di padre Matteo Ricci, condivide con lui l’esperienza dell’apostolato in Cina ma soprattutto la passione per la geografia: la sua opera più nota è il primo grande atlante della Cina, che illustra con 17 tavole le varie province e fornisce notizie etniche dettagliate. Nel 1997 un gruppo di docenti dell'Università di Trento ha fondato l'associazione culturale Centro Studi "Martino Martini". Il gesuita è stato scelto in quanto propugnatore ante litteram del dialogo e della cooperazione fra le civiltà europea e cinese.

Martino Martini nasce a Trento il 20 settembre del 1614 in una famiglia di mercanti. A 18 anni si trasferisce a Roma ed entra nel Collegio Romano (l’attuale Pontificia Università Gregoriana) per diventare gesuita. Nel marzo 1640 salpa da Lisbona con 24 confratelli alla volta delle Indie Orientali. La traversata, che tocca in successione Goa, in India, e Macao, in Cina, è a dir poco avventurosa. Nell’ottobre 1643 si stabilisce ad Hangzhou, provincia del Zhejiang, “la città più bella che esiste sotto il cielo” – a giudizio dei cinesi – e là inizia la sua attività missionaria, mentre il Paese è sconvolto dalla guerra fra la dinastia autoctona dei Ming e quella tartara dei Qing. A seguito di spostamenti dettati dai suoi superiori visita alcune province della Cina lungo il Canale Imperiale, acquisendo una profonda conoscenza della geografia, dell’economia e della popolazione di quel grande Paese. Durante la sua lunga permanenza in Cina Martini ha appreso la lingua locale, avvalendosi anche dell'esperienza maturata dai confratelli come Matteo Ricci. Martini, per la prima volta per un europeo, ha redatto la propria opera geografica e cartografica proprio basandosi sulla precedente conoscenza del territorio elaborata dalla tradizione culturale cinese. In questo senso, la sua opera è nettamente più precisa dell'opera di Ricci.

Nel 1651 parte per raggiungere Roma in qualità di procuratore della missione, per spiegare alla Santa Sede il significato delle consuetudini funerarie e confuciane cinesi, ma la nave, sulla quale si era imbarcato dopo quasi un anno di attesa nelle Filippine, viene catturata dagli olandesi, che lo trattengono a Batavia (Giacarta) per altri otto mesi. Nel settembre 1653 sbarca a Bergen, in Norvegia, da dove prosegue alla volta di Amburgo, Amsterdam, Anversa e Bruxelles. Nel marzo 1654, ad Anversa, dall’editore B. Moret viene pubblicata la De Bello Tartarico Historia ovvero la cronistoria della guerra civile, di cui era stato suo malgrado spettatore, che riscosse un successo straordinario. In quell’anno si ebbero quattro edizioni del testo latino e cinque traduzioni (tedesca, italiana, francese, inglese e olandese). I cinesi a tutt’oggi fanno riferimento alla sua opera, a riprova della serietà e affidabilità del testo.

La sua opera più nota, il Novus Atlas Sinensis (1655), venne scritta in latino, ossia la lingua più diffusa fra i dotti in Europa. Nei decenni successivi è difficile trovare opere di cartografi europei più precise ed accurate di quelle di Martini. Predisposto il materiale del Novus Atlas Sinensis, Martini lo affidò all’editore Joan Blaeu, che pubblicò l’opera ad Amsterdam. Il fatto che l'editore, Joan Blaeu, fosse uno tra i maggiori d'Olanda assicurò alla sua opera il tramite di un'ampia e capillare rete di distribuzione. Era il primo grande atlante della Cina che gli europei poterono consultare, con 170 pagine di testo,oltremodo ricche di informazioni sulle singole province, di cui sono illustrati confini, caratteristiche generali, variazione nel nome, indole degli abitanti, prodotti principali e status amministrativo, corredate da 17 tavole, sulle quali Martini tracciò le linee della latitudine e della longitudine, riuscendo a fornire l’esatta ubicazione di oltre 2100 località cinesi, giapponesi e coreane.

Giunto a Roma nell’ottobre 1654, Martini fa un dettagliato resoconto ai superiori di Roma, sulla situazione in terra di missione, con particolare riguardo ai progressi nell’opera di apostolato, evidenziati dai dati statistici sul numero dei convertiti. Sostiene con successo, davanti al Santo Ufficio, la legittimità dei riti confuciani cinesi e ottiene l’avallo della Congregazione Propaganda Fide col decreto di papa Alessandro VII, il 23 marzo 1656.

Salpa da Lisbona alla volta della Cina il 4 aprile 1657 con altri 16 gesuiti e rientra ad Hangzhou nel giugno del 1659, dopo un viaggio reso drammatico a causa di un attacco pirata, terribili tempeste e una grave epidemia a bordo. Martino Martini muore il 6 giugno 1661, all’età di 47 anni, dopo essere riuscito ad avviare la costruzione della “Chiesa dell’Immacolata Concezione”, in stile europeo, secondo un progetto da lui stesso predisposto.

Mentre Martini era ancora in viaggio, a Monaco di Baviera i suoi confratelli fecero pubblicare (1658) la Sinicae Historiae Decas Prima, storia della Cina antica, dalle origini fino alla nascita di Cristo. Il testo, come dice il titolo, è suddiviso in dieci libri, ai quali, nelle intenzioni del Martini, doveva seguire una seconda deca. Purtroppo la morte prematura gli precluse la possibilità di completare l’opera. Grande prestigio ebbe in Europa la Grammatica Sinica del Martini, testo base per i sinologi del Nord Europa, rimasto purtroppo manoscritto data l’impossibilità di stampare i caratteri cinesi. Dal testo manoscritto derivarono le prime grammatiche cinesi.

La tomba di Martino Martini

La fama del Martini non si spense con lui: dopo 15 anni la sua salma era ancora oggetto di omaggio e di venerazione non solo da parte dei cristiani, ma anche dei taoisti e buddisti, al punto che un superiore della missione dei lazzaristi nel 1877 (due secoli dopo la morte) diede ordine di seppellire nuovamente Martini per stroncare un culto divenuto idolatrico. Oggi le sue spoglie riposano in un mausoleo presso la città di Hangzhou, in un’area di ca. 1600 metri quadrati, riservata dal 1993 ad uso cimitero cattolico.

Nel 1997 un gruppo di docenti dell'Università di Trento ha fondato l'associazione culturale Centro Studi "Martino Martini" che sta curando la pubblicazione dell'opera omnia di Martini. Durante un convegno internazionale organizzato nella sua città natale, un membro dell’Accademia Cinese di Scienze Sociali, il professore Ma Yon disse: «Martini fu il primo a studiare la storia e la geografia Cinese con obiettivo rigore scientifico, l’ampiezza della sua conoscenza della cultura cinese, l’accuratezza delle sue ricerche, la profondità della sua comprensione dei concetti cinesi sono esempi per i moderni sinologi.»

lunedì 21 febbraio 2011

Oggi parliamo di: 掃sǎo (spazzare)

Il carattere è composto da手 shǒu mano e 帚 zhǒu scopa.

Spazzare è un atto di umiltà, un servizio


spazzare serve a fare pulizia, a sbarazzarci dai pregiudizi


spazzare è eliminare la polvere ma anche le incrostazioni del passato.


spazzare serve a liberare spazio, eliminare le cose inutili


spazzare è fare chiarezza non solo nella casa, ma anche nella mente


spazzare è anche un grande atto liberatorio


spazzare via gli oppressori, i dittatori, i corruttori


spazzare è eliminare il vecchiume, creare spazio al futuro, ai giovani


vogliamo cominciare a spazzare?

sabato 19 febbraio 2011

Il "Made in China" impazzava a Roma 2000 anni fa

Nessun paese occidentale può vantare una così lunga storia di relazioni con la Cina come l’Italia: fin dai tempi dei romani, nel I°sec a.C le relazioni col mondo cinese iniziarono, anche se in modo indiretto, con l'apertura della famosa via della seta. Nel giro di pochi decenni si sviluppò un intenso commercio, confermato dall'infatuazione dei romani per la seta cinese che arrivava a Roma attraverso la Persia.

All'inizio dell'estate del 53 avanti Cristo, sospinto dall'invidia per i trionfi militari di Cesare e Pompeo, Marco Licinio Crasso partì alla volta della Persia al comando di sette legioni, per sfidare l'esercito dei Parti a tornare a Roma carico di bottino e onori. Le cose non assecondarono le previsioni del povero Crasso il quale, pagò quell'imprudenza con la vita, oltre che con una sonora sconfitta. Per quanto funesto, quell'episodio segna la prima occasione in cui i Romani vennero in contatto con la seta, con la quale erano tessute le cangianti insegne innalzate dai guerrieri Parti.

Nemmeno mezzo secolo dopo, la "serica" - così detta perché fabbricata dal lontano popolo dei Seri, come a Roma venivano chiamati i cinesi - era il più ambito status symbol della nobiltà romana, che ne faceva sfoggio in ogni occasione di mondanità, un po' come oggi.

Separate da altri due grandi imperi - dei Parti in Persia e dei Kushana nei territori degli attuali Afghanistan e Pakistan - in quel periodo Roma e la Cina non vennero in contatto diretto, sebbene entrambe tentassero di inviare ambasciatori dall'altra parte del mondo.


Il generale Ban Chao

Uno dei primi e piú importanti tentativi di mettere in contatto i due grandi imperi del tempo, il cinese e il romano, fu attuato dal generale cinese Ban Chao, che aveva condotto le campagne militari con le quali la Cina si annetté parte dell’Asia Centrale. Nel 97 d. C, Ban Chao attraversò le montagne del Pamir con un esercito di 70.000 uomini in una campagna contro gli Xiongnu (gli Unni) spingendosi a ovest fino al Mar Caspio e all'Ucraina. Giunto fin sulle sponde del Lago d’Aral, il generale Ban Chao decise di inviare un suo ufficiale, Gan Ying, a esplorare il regno persiano e l’estremo Occidente, cioè l’impero romano di cui i Cinesi avevano conoscenza indiretta.

L’emissario partì e, come ci raccontano le cronache cinesi ufficiali del periodo Han, giunse nei pressi del Mar Nero. Qui, deciso a proseguire il viaggio per portare a termine la missione, interrogò i marinai persiani sulla lunghezza della traversata, i quali gli risposero: «Il mare è vasto e grande, con i venti in favore è possibile attraversarlo in tre mesi, ma se incontrerete la bonaccia può darsi che impiegherete due anni. È per questo che chi si imbarca porta a bordo provviste per tre anni. Per di piú c’è qualcosa in questo mare che riesce a rendere un uomo cosí malato di nostalgia, che molti hanno perduto la vita in questo modo. Se l’ambasciatore Gan vuole dimenticarsi la famiglia e la patria, può imbarcarsi». Spaventato da queste parole, Gan Ying decise di riprendere la strada del ritorno senza rendersi conto che i Parti avevano deliberatamente esagerato i pericoli della traversata proprio per evitare che l’emissario continuasse il proprio viaggio: era infatti nell’interesse dei mercanti del Vicino Oriente, intermediari delle transazioni commerciali tra l’Asia e il Mediterraneo, che la Cina e l’impero romano non entrassero in contatto diretto, anche perché Roma era, a quel tempo, uno dei principali mercati d’esportazione delle sete cinesi.


Mercanti persiani
Gan Ying riportò comunque notizie dell'Impero romano che deve aver riportato da altre fonti. Egli situava Roma nell'ovest del mare: «Il suo territorio copre diverse migliaia di lǐ (un li equivale a circa mezzo chilometro), è composto da circa 400 città fortificate. Ha assoggettato molte decine di piccoli stati. Le mura delle città sono di pietra. Hanno istituito una rete di stazioni di posta... Ci sono pini e cipressi ». Gan Ying descriva anche il sistema “democratico”, l'aspetto fisico e le ricchezze: «Per quanto riguarda il re, non è una figura permanente ma viene scelto fra gli uomini più degni... La gente è alta e di fattezze regolari. Assomigliano ai cinesi ed è per questo che questa terra è chiamata "Da Qin" (la Grande Cina)... Il suolo fornisce grandi quantità d'oro, argento e rari gioielli, compreso un gioiello che splende di notte... Hanno tessuti con inserti in oro per formare arazzi e damaschi multicolori e fabbricano vestiti dipinti d'oro e un vestito-lavato-nel-fuoco (asbesto) ». Infine Gan Ying determina correttamente Roma come il polo principale, posto al terminale occidentale della "Via della seta":«È da questa terra che arrivano tutti i vari e meravigliosi oggetti degli stati stranieri »

Con l'espansione dell'Impero romano nel Medio Oriente, durante il II secolo d.C. i romani raggiunsero la capacità di sviluppare i trasporti marittimi e il commercio nell'Oceano Indiano. Parecchi romani probabilmente viaggiarono fino all'Estremo Oriente con navi romane, indiane o cinesi. La prima ambasciata romana in Cina fu registrata sessant'anni dopo le spedizioni del generale Ban Zhao. L'ambasciata giunse all'imperatore cinese Huan da parte di "Antun" (Antonino Pio), re di Da Quin (Roma).
le vie della seta

I Romani, dal canto loro, compirono sforzi per stabilire un contatto diretto con l’impero cinese, sforzi che tuttavia risultarono vani per l’opposizione manifestata dai mercanti dell’Iran: i Romani anzi continuarono ad acquistare la seta alla frontiera partica, in Mesopotamia, mantenendo invece il commercio diretto via mare con l’India, verso la quale salpavano, durante l’epoca di Augusto, qualcosa come centoventi imbarcazioni all’anno, che facevano ritorno a Roma cariche di prodotti esotici.



Dicevamo della passione delle donne romane per il “made in China”: l'indumento più importante delle patrizie romane era una camicia piuttosto aderente che veniva portata sotto l'abito; un mantello fungeva da soprabito e il velo cingeva delicatamente la testa. La tunica era molto casta, lunga fino ai piedi e con maniche corte. Era fatta di lana, di cotone, di seta o in materiali trasparenti. Sopra la tunica le romane indossavano la stola, che aveva le maniche lunghe. Le più ricche facevano tingere le stoffe di rosso porpora, le ornavano con perle e spille d'oro.

Un abito di seta costava fino a 10.000 sesterzi (pari a circa 5.000 euro) e sappiamo che persino l’imperatore Marco Aurelio (121-180 d.C.) rifiutò alla moglie di acquistargliene uno, sostenendo che «… è una pazzia, e con già le finanze disastrate non bisogna dare il cattivo esempio …».

Oltre ad essere estremamente care, le vesti di seta venivano considerate decadenti e immorali: Seneca commentava: «Vedo queste vesti di seta, se vesti si possono chiamare questi materiali in cui non c’è nulla che difenda il corpo, nemmeno le parti intime... » Mentre Plinio tuonava: «…Vestite di seta trasparente le nostre donne è come se andassero in giro nude!».

Ma anche gli uomini andavano pazzi per questo tessuto, "leggero come una nuvola, liscio al tocco come pelle di neonato". In privato, indossavano tuniche di seta anche loro, tuniche che costavano una fortuna. L'Imperatore Tiberio proibì che gli uomini indossassero vesti di seta perché li rendeva troppo femminei. Ma non solo per questo motivo: poiché allora il prezzo della seta pareggiava quello dell'oro, per via dei pagamenti per l'importazione della seta, l'Impero romano ad un certo punto andò in deficit, quindi il Senato approvò un decreto sulla proibizione dell'acquisto ed utilizzo di capi di abbigliamento in seta cinese, incontrando tuttavia la ferma opposizione dei nobili che ne andavano pazzi, per cui alla fine fu costretto a cancellare il divieto.

I romani credevano che la seta fosse ottenuta dalle piante: Plinio il Vecchio scriveva nella Historia Naturalis «primi sono gli uomini conosciuti come Seri, famosi per il filato ottenuto dalle foreste; dopo averle macerate in acqua estraggono la parte bianca dalle foglie... Tanta gente viene impiegata e tanto lontana è la regione da cui proviene per permettere alle matrone di indossare in pubblico vesti trasparenti». Tuttavia, una volta saputo che originava dalla filatura della seta prodotta dal baco, decisero si venire in possesso a qualsiasi prezzo della tecnica del suo allevamento.

Fino al 550 d.C., tutti i tessuti di seta provenivano dall'Asia. Si tramanda che attorno a quest'epoca l'imperatore romano Giustiniano abbia inviato in Cina due monaci, i quali, a rischio della vita, rubarono semi di gelso e uova di bachi da seta e li portarono segretamente a Bisanzio, mettendo così fine al monopolio cinese e persiano.

Con l'espansione del mondo islamico, il baco da seta arrivò in Sicilia e in Spagna. Nel XII e XIII secolo l'Italia diventò il maggior centro di produzione serica dell'Occidente, conservando la supremazia fino al XVII secolo, quando nacquero importanti laboratori tessili nell'area intorno a Lione, che fecero della Francia un’importante concorrente dell’Italia nell’industria della seta.

venerdì 11 febbraio 2011

San Valentino: conoscete Giulietta e Romeo cinesi?

Pensavamo di essere gli unici ad avere una storia d’amore come quella di Giulietta e Romeo, ma l’amore si sa, non ha confini e una vicenda, molto simile a quella degli innamorati veronesi, ebbe luogo anche in Cina,ma molto, molto prima … milleseicento anni fa!

Nel 2005 la città di Ningbo della provincia del Zhejiang nella Cina sud-orientale e la città di Verona hanno firmato un accordo di gemellaggio: cosa aveva a che fare Verona con l’estremo oriente? Ningbo, è una cittadina (solo cinque milioni di abitanti…) della provincia cinese del Zhejiang - un poco più a sud di Shanghai, tanto per intenderci - ed è il centro economico della regione a sud del delta del Fiume Azzurro. E’ una delle più importanti città portuali cinesi, con grandi prospettive di sviluppo e una importante tradizione storica: fin dai tempi della dinastia Tang (V-VI° sec d.C.) era il punto di partenza, per via mare della Via della Seta e della via di porcellana tra l'Asia con l'Europa. Ma Ningbo è famosa anche per una delle più tradizionali e struggenti storie d’amore della tradizione popolare cinese. La storia di Liang Shanbo e Zhu Yingtai simboleggia, per gli orientali, la libertà e la fedeltà nell'amore. Liang Shanbo e Zhu Yingtai sono definiti come "Romeo e Giulietta dell'Oriente": volete sapere perché?

La vicenda si svolge 1600 anni fa, sotto l’impero della dinastia Jin. Zhu Yingtai era la figlia di un nobile signore di Shangyu, molto graziosa e intelligente. Desiderava ricevere una istruzione ma, a quei tempi, solo i maschi potevano frequentare le scuole, dove si preparavano i futuri funzionari dell’impero. Le femmine, non avendo diritto ad una carriera pubblica, non avevano (ovviamente) nemmeno diritto all’istruzione. Ma Zhu Yingtai aveva uno spirito libero: tanto fece che riuscì a commuovere suo padre che acconsentì alla figlia, travestita da ragazzo, di andare a studiare alla scuola di Hangzhou.

E così Zhu Yingtai partì alla volta della città con la sua ancella anch’ella travestita da uomo. Durante il viaggio incontrarono, in un padiglione costruito per i viandanti, un giovane bello e gentile, anch’egli andava ad Hangzhou per studiare. I due giovani ben presto diventarono amici e decisero, prima di arrivare in città, di fare una cerimonia che li avrebbe legati più di due fratelli, per caso passavano su un grazioso ponticello, s’inginocchiarono e fecero la cerimonia.

Arrivati in città i due amici naturalmente entrarono nella stessa scuola. Condividevano la stessa stanza e lo stesso letto. Zhu Yingtai era sempre vestita da uomo ma aveva paura di essere scoperta, soprattutto di notte, escogitò allora uno stratagemma: ogni notte metteva un’ampolla d’acqua in mezzo al letto tra lei e Liang Shanbo, di modo che se fosse successo qualcosa l’ampolla si sarebbe rovesciata e l’avrebbe bagnata svegliandola. Ma non successe mai niente.

Come si può immaginare, Liang Shanbo si accorse presto del sotterfugio e si innamorò della ragazza. Peccato che lui fosse di origini molto umili e quindi poco gradito alla nobile famiglia di lei: infatti, quando il padre seppe del loro legame, richiamò subito la figlia a casa, e le impose di fidanzarsi con un giovane di un’altra famiglia nobile del luogo, appartenente al clan dei Ma. Ne frattempo, Liang Shanbo aveva superato i duri esami di ammissione alla pubblica amministrazione ed era diventato un magistrato, ma non potendo sopportare la lontananza da Liang Shanbo, cadde in uno stato depressivo: in poco tempo Il giovane morì e fu sepolto vicino al fiume, fuori della città.

Udita la notizia della morte dell’amato Zhu Yingtai quasi impazzì dal dolore e supplicò ancora e ancora il padre di non mandarla in sposa al clan dei Ma. Ma il padre fu irremovibile, allora Zhu Yingtai acconsentì ma a due condizioni: voleva vestirsi di bianco [il bianco e’il colore del lutto in Cina] e voleva che la processione nunziale passasse accanto alla tomba di Liang Shanbo, prima di arrivare alla casa del futuro marito. Il padre, pur di farla sposare accettò queste condizioni e venne preparato il matrimonio. Il giorno stabilito, Zhu Yingtai, vestita di bianco e con il cuore a pezzi, salì sulla portantina nunziale. La processione arrivò di fianco alla tomba di Liang Shanbo. Zhu Yingtai alzò la tenda della portantina e con la voce rotta dal pianto urlò verso la tomba dell’amato:

«Se è rimasto qualcosa del tuo spirito e del tuo amore allora apri la tomba!se nulla invece di te e del nostro amore e’ rimasto, allora sarò moglie di un’altro!». Improvvisamente il cielo si rannuvolò, fulmini e lampi saettarono nel vuoto. La tomba di Liang Shanbo si aprì e prima che chiunque avesse il tempo di reagire Zhu Yingtai si gettò nella tomba aperta. E la tomba si richiuse dietro di lei.

Il cielo ridivenne sereno, lampi e fulmini sparirono, la tomba di Liang Shanbo si riaprì e uscirono due farfalle che volavano assieme e insieme sparirono all’orizzonte. Le farfalle erano le anime dei due poveri amanti, finalmente libere di stare per sempre assieme.

Ningbo ha creato un parco dedicato ai due innamorati ed ha deciso di coltivare la tradizione e la diffusione della storia d'amore dei due sfortunati giovani: ha costituito un Istituto cinese di ricerca sulla tradizione di Liang Shanbo e Zhu Yingtai ed ha chiesto all'Unesco di riconoscere questa tradizione come "patrimonio culturale non materiale" dell’umanità. A Ningbo si dice che se marito e moglie vogliono arrivare fino alla vecchiaia devono visitare il parco di Liang Shanbo e Zhu Yingtai. Il parco è diventato un luogo dedicato alla libertà e alla fedeltà nell'amore e le farfalle simbolo dell'amore eterno. Il governo distrettuale ha anche organizzato, nel gennaio del 2000 e nel maggio del 2002, due Festival dedicati a questa tradizione ottenendo vivo successo. Durante i Festival, il governo locale ha invitato 99 coppie di sposi novelli e 56 coppie sposi novelli rappresentanti le 56 nazionalità cinesi.





E’ così che, per allacciare un legame ideale tra gli innamorati occidentali e orientali e, nella realtà, tra le città che ne conservano la tradizione, è nato l’invito alla città di Verona, in occasione del terzo Festival Liang Shanbo e Zhu Yingtai. Un invito ben accolto dall’amministrazione veronese, che ha inviato una delegazione composta dal Sindaco, dall’assessore al Turismo, e da cinque coppie veronesi, a rappresentare l’amore eterno nella (ormai non più) lontana Cina. Naturalmente Ningbo è stata invitata a ricambiare la visita durante l’edizione di “Verona in love” che si è svolta nel Febbraio 2007 in occasione della festa di san Valentino.

Nell'ottica del gemellaggio tra Verona e Ningbo, è avvenuto uno scambio dei due principali simboli cittadini legati alle rispettive leggende. La città di Verona ha donato una copia della statua bronzea di Giulietta e Ningbo ha fatto altrettanto con una copia della statua del Parco Culturale. La bella e suggestiva opera è stata collocata proprio di fronte all'ingresso della Tomba di Giulietta.

sabato 5 febbraio 2011

Dopo tante feste, ci beviamo un tè? si, ma quale?

Il Tè è la bevanda più bevuta al mondo, dopo l'acqua, e fa parte della vita quotidiana di intere popolazioni, di cui caratterizza usi e costumi. Il Tè è una bevanda con una grande storia e, in questo mondo in continua evoluzione, sta diventando sempre più popolare con il suo potere calmante e stimolante insieme. Come il vino, il Tè è caratterizzato da una quantità infinita di varietà, dai sapori e dalle caratteristiche organolettiche molto differenti. Quante ne conoscete?


Attraverso un processo lungo e complesso, le foglie del Tè diventano una bevanda che, mentre rigenera il corpo, fa riposare la mente che percepisce quanto sia importante godere di piccoli momenti di silenzio e di meditazione, da soli o in compagnia di una persona cara che condivida le nostre sensazioni. Se in oriente il Tè accompagna da sempre ogni momento della giornata e viene bevuto ovunque, in occidente si è soliti associare a questa bevanda l'idea di uno spazio speciale all'interno della giornata, per estraniarsi almeno per un po' dal rumore e dallo stress quotidiani. Il primo paese a importare il Tè in Occidente e a diffonderne l'uso fu l'Inghilterra che, istituendo il famoso "Tea time" o "Tè delle cinque", rivelò come il Tè sia innanzi tutto un rito. Il "rito del Tè", del quale sono maestri i Giapponesi, è un invito a volersi bene, a stare bene nel corpo e nello spirito.

Da iniziale appannaggio degli aristocratici, il Tè divenne nell'Ottocento sempre più diffuso in tutte le classi sociali, non solo in Inghilterra, ma anche in Francia, in Germania e in Russia, per poi diffondersi in tutta Europa. Il Tè oggi proviene sia dai paesi più tradizionalmente noti per la sua coltivazione, come la Cina, l'India, il Giappone, sia da altri più particolari come il Kenia, la Turchia o il Nepal.

Quando sia incominciata la storia del Tè non si sa esattamente: sembra sia stato introdotto come bevanda in Cina circa settecento o ottocento anni prima di Cristo, inizialmente raccolto da piante spontanee, e solo verso il seicento d.C. sia diventato oggetto di coltivazione specializzata, riservata dapprima solamente agli imperatori cinesi. In Giappone invece l'uso del Tè si diffuse a partire dall'ottavo secolo dopo Cristo, ma fu solo verso il 1200 che esso diventò una bevanda assai popolare e la sua coltivazione si estese rapidamente. Gli Europei invece ne conobbero l'esistenza assai più tardi, nel diciottesimo secolo per opera dei bastimenti della Compagnia delle Indie Orientali.

La straordinaria pianta da cui il tè deriva, la «Camellia sinensis», possiede innumerevoli proprietà salutari, che vengono esaltate in modo diverso a seconda della regione in cui cresce e del metodo di lavorazione cui viene sottoposto. Il nome «sinensis» in latino significa «cinese». «Camellia» deriva invece dal nome latinizzato del reverendo Georg Joseph Kamel (1661-1706), un gesuita ceco che fu sia missionario nelle Filippine, sia celebre botanico. Tuttavia non fu Kamel a scoprire la pianta, né tanto meno ad attribuirle il nome: fu infatti Carlo Linneo, l’ideatore della tassonomia, ancora oggi in uso, a scegliere la denominazione di questo genere in onore al contributo che il gesuita dette alla scienza. Altri nomi della pianta in passato furono «Thea sinensis» (dai quali si credeva derivasse il tè nero) e «Thea viridis» (che si credeva essere all’origine del tè verde). La Camellia sinensis cresce fino a 4 metri d'altezza ed ha delle foglie sottili e strette. Nelle piantagioni le piante vengono tagliate ad un'altezza di 1,5 metri per poter arrivare meglio alle foglie durante la raccolta.

Un curiosità: i semi della Camellia sinensis possono essere spremuti per ottenere un olio dolciastro usato in cucina, da non confondersi con l’olio essenziale, quello cosiddetto dell’albero del tè (tea tree oil in inglese), che in realtà è estratto da una pianta differente ed ha uso cosmetico e medicinale. L'olio di semi del tè viene spremuto a freddo, ha un elevato punto di fumo (250°C) ed è l'olio da cucina principale in alcune province meridionali della Cina, quali lo Hunan. L'olio di semi di tè assomiglia all'olio d'oliva e all'olio di semi d'uva per le sue eccellenti proprietà di conservazione e il ridotto contenuto di grassi saturi. L'acido oleico monoinsaturo può comprendere fino all'88% degli acidi grassi ed è ricco di vitamina E e di altri antiossidanti.

Oltre all'impiego come condimento, per salse, fritture e produzione di margarina, l'olio di semi di tè viene utilizzato per produrre sapone, olio per capelli, lubrificanti, vernice e un olio antiruggine nonché nella sintesi di altri composti ad alto peso molecolare. L'olio di semi di te giapponese viene impiegato per il trattamento dei capelli dei lottatori di sumo e per la tempura (pastella per fritture).

Ma torniamo al tè come bevanda: esistono numerosi tipi di Tè, come i Tè neri, i Tè verdi, i semifermentati e postfermentati, i bianchi, i Tè scented e i pressati, che si distinguono per la lavorazione alla quale la materia prima (che è sempre, non dimentichiamolo, la Camellia sinensis) viene sottoposta, e che conferisce ai vari tipi caratteristiche peculiari di composizione, sapore, aroma e anche proprietà salutari.

Il maggior produttore di Tè neri del mondo è l'India, specialmente nelle due regioni Darjeeling e Assam: la prima si trova alle pendici dell'Himalaya e i suoi giardini producono Tè di alta qualità, conosciuti come lo "Champagne" dei Tè, ricercati dagli intenditori per le diverse caratteristiche dei raccolti. La regione dell'Assam è la più estesa e selvaggia zona di coltivazione al mondo; si trova sulle rive del fiume Brahmaputra e produce Tè maltati di grande forza. Tantissime sono le varietà di Tè neri indiani; fra i più noti agli Occidentali ricordiamo i vari Tè Darjeeling, gli Assam, i Nilgiri, i Terai.

L'isola di Sri Lanka, un tempo chiamata Ceylon, è la terza produttrice di Tè al mondo. Le coltivazioni di Tè ebbero inizio attorno al 1870, a causa di una malattia che distrusse le colture di Caffè, allora prevalenti. I migliori raccolti si hanno nella zona montuosa di Nuwara Eliya, ricca di fiumi e cascate, dove si producono Tè neri molto profumati e corposi, noti in tutto il mondo, come gli Orange Pekoe, dall'aroma fresco e dal gusto forte e deciso, considerato un "classico".

Ma la maggior produttrice di Tè al mondo è senz'altro la Cina, culla millenaria di questa bevanda e patria dei "diecimila Tè": verdi, neri, semifermentati, Pu erh, scented, pressati e bianchi sono le categorie principali, prodotte principalmente in Yunnan, Fujian, Anhui, Zhejiang, Hunan e Hubei. I Tè neri più conosciuti sono il China black e lo Yunnan, mentre fra i tè semifermentati spiccano gli Oolong, dal gusto aromatico, pieno e deciso.

Ma facciamo una rapida carrellata sui vari tipi di Tè:

I Tè fermentati

I Tè neri sono quelli più diffusi e conosciuti in Occidente: sono prodotti principalmente in India e nei paesi africani per accontentare il gusto occidentale che richiede Tè forti e ricchi di teina, capaci di sostituire egregiamente il caffè. Ma anche la Cina produce ottimi Tè neri specialmente nello Yunnan e nel Fujian, patria del Tè affumicato. La lavorazione del tè nero può essere suddivisa in quattro fasi: appassimento, arrotolamento, fermentazione e essiccazione. Le foglie vengono messe ad appassire e poi, quando sono ancora morbide, arrotolate senza spezzarle. L'arrotolamento fa fuoriuscire gli oli essenziali dalle foglie e contribuisce a fissare l'aroma e il colore finale del prodotto; ormai raramente questa operazione è manuale essendo stata sostituita da macchine. Successivamente le foglie vengono srotolate in un luogo freddo e umido e lasciate ad ossigenarsi per almeno 3-4 ore. Il contatto con l'ossigeno produce la fermentazione e fa colorare le foglie verdi di rosso. Infine si procede con l'essiccazione attraverso la somministrazione di calore che scurisce ulteriormente le foglie ( da cui il nome) e ne blocca il processo decompositivo.

I Tè neri sono alquanto profumati e dal sapore robusto, ottimi caldi, ma anche freddi con limone ed eventualmente qualche fogliolina di menta e ghiaccio, d'estate come ottima bevanda dissetante e corroborante.

I Tè semifermentati

I Tè semifermentati vengono chiamati così perché subiscono solo parzialmente la fermentazione cui abbiamo accennato prima, in quanto il processo di ossidazione non viene portato a termine; essi si bevono senza aggiunta di latte e, per il loro basso contenuto di teina, possono essere bevuti anche la sera.

I Tè Oolong sono un tipo di Tè semi-fermentato, che assomigliano alla vista ad un tè verde ed hanno invece un sapore che ricorda un tè nero, ma più delicato e leggero. Hanno un colore più o meno scuro (i francesi li chiamano Bleu-verts in virtù delle sfumature verde blu che hanno alcuni di essi) e producono infusi più corposi e dal sapore più intenso di quelli verdi. I Tè Oolong sono prodotti principalmente nel Fujian (Fukien) e a Taiwan, il nome deriva dall'inglesizzazione del termine cinese Wu Long (Drago nero). Le foglie destinate a produrre tè semifermentati non vengono raccolte troppo presto e vengono invece lavorate subito: appassite alla luce diretta del sole, sono poi messe in recipienti di bambù e agitate in modo da frantumarne i bordi e questo procedimento si protrae fino ad ottenere il grado di fermentazione desiderato.

Ci sono poi i Tè postfermentati, o Pu’erh, specialità che viene chiamata anche Tè rosso, per il colore del suo infuso. Il Tè postfermentato viene prima essiccato, poi messo a maturare in luoghi molto umidi, spesso in cave, (cosa che gli conferisce un aroma particolare di terra che a non tutti piace), dove possono restare anche venti anni! Il Pu’erh ha un gusto corposo e un aroma leggermente profumato, adatto alla prima colazione. I cinesi gli attribuiscono molte proprietà curative (digestione, dissenteria, colesterolo alto). In Italia si trova spesso con il nome Tuocha. Il Pu’erh deve il suo nome alla città dove veniva commerciato e che, ironicamente, non produce tè. E' venduto in vari formati: a foglie sciolte, a panetti, a torte (Tea Cake) a palline. E' sicuramente l'unico Tè che può essere conservato a lungo (grazie al processo di preparazione) e alcuni tipi sono addirittura lasciati affinare in cantina per anni e alcuni collezionisti possono vantare Pu’erh vecchi di oltre un secolo.

Tè non fermentati

I Tè verdi costituiscono un altro grande gruppo di Tè, molto usati in Cina e Giappone, ma oggi apprezzati anche in Europa perché sono state di recente messe in evidenza le loro notevoli proprietà antiossidanti e antinvecchiamento. I Tè verdi sono detti anche "Tè non fermentati", poiché le foglioline vengono sottoposte, dopo l'essiccazione, ad un trattamento termico che ne blocca il processo di fermentazione. In questo modo vengono inattivati gli enzimi che ne provocherebbero la fermentazione, così le foglie mantengono il loro colore verde e vengono anche preservate le proprietà terapeutiche delle numerose sostanze polifenoliche, che sono potenti antiossidanti. Per avere del Tè verde deve essere interrotta la fermentazione. In Cina, le foglie dopo la raccolta vengono tostate sul fuoco in grandi pentole o in contenitori di metallo. Questo trattamento dura soltanto alcuni minuti, però impedisce l’ossidazione delle foglie. Poi le foglie vengono schiacciate, spesso a mano ed essiccate per 8-12 ore ed eventualmente aromatizzate. Con questo metodo il colore verde viene quasi mantenuto, ogni tanto però si vedono dei bordi leggermente fermentati. In Giappone la fermentazione viene soppressa con vapore acqueo,che blocca più velocemente la fermentazione e il verde rimane più intenso. I Tè verdi giapponesi hanno un colore più chiaro e danno un infuso verde-giallo. Il Tè verde quindi, oltre a essere una bevanda energetica e corroborante, aiuta a mantenersi in buona salute e se ne possono bere fino a quattro tazze al giorno. Anche i Tè verdi annoverano tantissime varietà; ne ricordiamo solo alcune come il Gunpowder, il Bancha, l'Hojicha, il Kukicha. Il Gunpowder, il Tè verde più bevuto nel mondo, molto usato anche per le diete, ha foglia arrotolata verde chiaro e un sapore amarognolo, fresco e pungente. Gli altri hanno sapore leggero con retrogusto di nocciola e hanno un bassissimo contenuto naturale di teina.

I Tè Bianchi

I Tè bianchi si ottengono cogliendo solo i germogli non ancora schiusi, che sono ricoperti di una leggera peluria che li rende argentei e questo ha ispirato il loro nome. Essi vengono prodotti in quantità minime ed esclusivamente in Cina, non subiscono alcuna trasformazione, ma vengono semplicemente fatti appassire e quindi essiccati. Se ne ricava un infuso giallo paglierino molto pallido, dal sapore delicato e retrogusto persistente, come il Silvery Pekoe, Tè bianco primaverile, pregiatissimo ed estremamente raro.

I Tè aromatizzati (scented)

I Tè scented sono Tè neri o bianchi aromatizzati con altre piante aromatiche, come i fiori di Gelsomino, i petali di Rose, le Orchidee, il frutto del Litchi, i fiori di Magnolia o di Osmanto, le foglie di Menta, ma anche la Cannella, la Vaniglia, e molti altri aromi.

Per la realizzazione di tè aromatizzato vengono indifferentemente usati sia il tè verde, che il nero, che l'Oolong. Possiamo distinguere due procedimenti: quello tradizionale cinese che consiste nell'aggiungere alle foglie di Tè petali o boccioli di fiori che alla fine verranno tolti e in Cina si chiamano Hua Cha (tè ai fiori) o Hsiang Pien (Frammenti Profumati). L'altro metodo prevede l'aggiunta alle foglie di tè di oli essenziali e in questo caso il numero degli aromi possibili è amplissimo.


Ma, come si prepara un buon Tè?

Tutti i tè contengono caffeina, il cui contenuto nella bevanda varia però in funzione del tipo di preparazione. Durante i primi 2-3 minuti di infusione si libera la caffeina, solo dopo 3 minuti si libera anche il tannino. Per ottenere un tè verde con poca caffeina, si può fare due infusi: il primo di 2 minuti si butta via; il secondo infuso contiene meno caffeina. Con lo stesso tè verde si possono fare fino a 4 infusioni.

Un vecchi proverbio cinese recita:

“Il primo infuso è per il gusto.
Il secondo infuso è per il piacere.
Il terzo infuso è per l’occhio.
Il quarto infuso è per il rilassamento.”

Per quanto riguarda le dosi, come regola approssimativa, si può calcolare un cucchiaino a tazza e uno per la brocca. È meglio comunque preparare un tè forte per poi poterlo allungare: un tè troppo debole non può più essere migliorato. Le foglie grandi devono stare in infusione di più, le foglie tagliate o i tè in polvere sono pronti prima.

L’acqua usata dovrebbe essere sempre fresca e poco calcarea. L’acqua dura modifica il gusto e fa sì che il tè (verde) diventi amaro. Un filtro per l’acqua può essere d’aiuto. L’acqua per il tè deve bollire un attimo. Per ottenere la temperatura giusta per il tè verde, ca. 80°C, l’acqua deve prima raffreddarsi per ca. 5 minuti. Per il tè nero si può usare dell’acqua bollente. Prima di preparare il tè si dovrebbe preriscaldare la brocca e le tazze con dell’acqua calda. Il Tè verde non può rimanere in infuso più di 2-3 minuti, altrimenti diventa amaro. Il Tè nero e il Tè Oolong possono rimanere in infuso 3- 7 minuti. Le foglie di Tè devono essere completamente coperte d’acqua: siccome le foglie di tè si espandono nell’acqua, hanno bisogno di abbastanza spazio da poter sprigionare il pieno aroma. Un colino per il tè deve quindi essere abbastanza grande. Dopo il tempo d’infusione, si filtra e il tè può essere servito. Il servizio da tè dovrebbe essere usato solamente per il tè in quanto, col tempo, si forma una patina che ne migliora il sapore. Contenitori come il rame o l’ottone non sono adatti per il tè perché il tannino rovina questi metalli e di conseguenza anche il sapore del tè. Come eccezione valgono le brocche d’argento. Le brocche di ghisa devono essere smaltate all’interno. Il servizio da tè deve essere lavato solo con acqua, il detersivo ne rovina il sapore.

E adesso che sapete tutto (o quasi) sul Tè, rilassatevi con una buona tazza del vostro preferito!