Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

sabato 19 febbraio 2011

Il "Made in China" impazzava a Roma 2000 anni fa

Nessun paese occidentale può vantare una così lunga storia di relazioni con la Cina come l’Italia: fin dai tempi dei romani, nel I°sec a.C le relazioni col mondo cinese iniziarono, anche se in modo indiretto, con l'apertura della famosa via della seta. Nel giro di pochi decenni si sviluppò un intenso commercio, confermato dall'infatuazione dei romani per la seta cinese che arrivava a Roma attraverso la Persia.

All'inizio dell'estate del 53 avanti Cristo, sospinto dall'invidia per i trionfi militari di Cesare e Pompeo, Marco Licinio Crasso partì alla volta della Persia al comando di sette legioni, per sfidare l'esercito dei Parti a tornare a Roma carico di bottino e onori. Le cose non assecondarono le previsioni del povero Crasso il quale, pagò quell'imprudenza con la vita, oltre che con una sonora sconfitta. Per quanto funesto, quell'episodio segna la prima occasione in cui i Romani vennero in contatto con la seta, con la quale erano tessute le cangianti insegne innalzate dai guerrieri Parti.

Nemmeno mezzo secolo dopo, la "serica" - così detta perché fabbricata dal lontano popolo dei Seri, come a Roma venivano chiamati i cinesi - era il più ambito status symbol della nobiltà romana, che ne faceva sfoggio in ogni occasione di mondanità, un po' come oggi.

Separate da altri due grandi imperi - dei Parti in Persia e dei Kushana nei territori degli attuali Afghanistan e Pakistan - in quel periodo Roma e la Cina non vennero in contatto diretto, sebbene entrambe tentassero di inviare ambasciatori dall'altra parte del mondo.


Il generale Ban Chao

Uno dei primi e piú importanti tentativi di mettere in contatto i due grandi imperi del tempo, il cinese e il romano, fu attuato dal generale cinese Ban Chao, che aveva condotto le campagne militari con le quali la Cina si annetté parte dell’Asia Centrale. Nel 97 d. C, Ban Chao attraversò le montagne del Pamir con un esercito di 70.000 uomini in una campagna contro gli Xiongnu (gli Unni) spingendosi a ovest fino al Mar Caspio e all'Ucraina. Giunto fin sulle sponde del Lago d’Aral, il generale Ban Chao decise di inviare un suo ufficiale, Gan Ying, a esplorare il regno persiano e l’estremo Occidente, cioè l’impero romano di cui i Cinesi avevano conoscenza indiretta.

L’emissario partì e, come ci raccontano le cronache cinesi ufficiali del periodo Han, giunse nei pressi del Mar Nero. Qui, deciso a proseguire il viaggio per portare a termine la missione, interrogò i marinai persiani sulla lunghezza della traversata, i quali gli risposero: «Il mare è vasto e grande, con i venti in favore è possibile attraversarlo in tre mesi, ma se incontrerete la bonaccia può darsi che impiegherete due anni. È per questo che chi si imbarca porta a bordo provviste per tre anni. Per di piú c’è qualcosa in questo mare che riesce a rendere un uomo cosí malato di nostalgia, che molti hanno perduto la vita in questo modo. Se l’ambasciatore Gan vuole dimenticarsi la famiglia e la patria, può imbarcarsi». Spaventato da queste parole, Gan Ying decise di riprendere la strada del ritorno senza rendersi conto che i Parti avevano deliberatamente esagerato i pericoli della traversata proprio per evitare che l’emissario continuasse il proprio viaggio: era infatti nell’interesse dei mercanti del Vicino Oriente, intermediari delle transazioni commerciali tra l’Asia e il Mediterraneo, che la Cina e l’impero romano non entrassero in contatto diretto, anche perché Roma era, a quel tempo, uno dei principali mercati d’esportazione delle sete cinesi.


Mercanti persiani
Gan Ying riportò comunque notizie dell'Impero romano che deve aver riportato da altre fonti. Egli situava Roma nell'ovest del mare: «Il suo territorio copre diverse migliaia di lǐ (un li equivale a circa mezzo chilometro), è composto da circa 400 città fortificate. Ha assoggettato molte decine di piccoli stati. Le mura delle città sono di pietra. Hanno istituito una rete di stazioni di posta... Ci sono pini e cipressi ». Gan Ying descriva anche il sistema “democratico”, l'aspetto fisico e le ricchezze: «Per quanto riguarda il re, non è una figura permanente ma viene scelto fra gli uomini più degni... La gente è alta e di fattezze regolari. Assomigliano ai cinesi ed è per questo che questa terra è chiamata "Da Qin" (la Grande Cina)... Il suolo fornisce grandi quantità d'oro, argento e rari gioielli, compreso un gioiello che splende di notte... Hanno tessuti con inserti in oro per formare arazzi e damaschi multicolori e fabbricano vestiti dipinti d'oro e un vestito-lavato-nel-fuoco (asbesto) ». Infine Gan Ying determina correttamente Roma come il polo principale, posto al terminale occidentale della "Via della seta":«È da questa terra che arrivano tutti i vari e meravigliosi oggetti degli stati stranieri »

Con l'espansione dell'Impero romano nel Medio Oriente, durante il II secolo d.C. i romani raggiunsero la capacità di sviluppare i trasporti marittimi e il commercio nell'Oceano Indiano. Parecchi romani probabilmente viaggiarono fino all'Estremo Oriente con navi romane, indiane o cinesi. La prima ambasciata romana in Cina fu registrata sessant'anni dopo le spedizioni del generale Ban Zhao. L'ambasciata giunse all'imperatore cinese Huan da parte di "Antun" (Antonino Pio), re di Da Quin (Roma).
le vie della seta

I Romani, dal canto loro, compirono sforzi per stabilire un contatto diretto con l’impero cinese, sforzi che tuttavia risultarono vani per l’opposizione manifestata dai mercanti dell’Iran: i Romani anzi continuarono ad acquistare la seta alla frontiera partica, in Mesopotamia, mantenendo invece il commercio diretto via mare con l’India, verso la quale salpavano, durante l’epoca di Augusto, qualcosa come centoventi imbarcazioni all’anno, che facevano ritorno a Roma cariche di prodotti esotici.



Dicevamo della passione delle donne romane per il “made in China”: l'indumento più importante delle patrizie romane era una camicia piuttosto aderente che veniva portata sotto l'abito; un mantello fungeva da soprabito e il velo cingeva delicatamente la testa. La tunica era molto casta, lunga fino ai piedi e con maniche corte. Era fatta di lana, di cotone, di seta o in materiali trasparenti. Sopra la tunica le romane indossavano la stola, che aveva le maniche lunghe. Le più ricche facevano tingere le stoffe di rosso porpora, le ornavano con perle e spille d'oro.

Un abito di seta costava fino a 10.000 sesterzi (pari a circa 5.000 euro) e sappiamo che persino l’imperatore Marco Aurelio (121-180 d.C.) rifiutò alla moglie di acquistargliene uno, sostenendo che «… è una pazzia, e con già le finanze disastrate non bisogna dare il cattivo esempio …».

Oltre ad essere estremamente care, le vesti di seta venivano considerate decadenti e immorali: Seneca commentava: «Vedo queste vesti di seta, se vesti si possono chiamare questi materiali in cui non c’è nulla che difenda il corpo, nemmeno le parti intime... » Mentre Plinio tuonava: «…Vestite di seta trasparente le nostre donne è come se andassero in giro nude!».

Ma anche gli uomini andavano pazzi per questo tessuto, "leggero come una nuvola, liscio al tocco come pelle di neonato". In privato, indossavano tuniche di seta anche loro, tuniche che costavano una fortuna. L'Imperatore Tiberio proibì che gli uomini indossassero vesti di seta perché li rendeva troppo femminei. Ma non solo per questo motivo: poiché allora il prezzo della seta pareggiava quello dell'oro, per via dei pagamenti per l'importazione della seta, l'Impero romano ad un certo punto andò in deficit, quindi il Senato approvò un decreto sulla proibizione dell'acquisto ed utilizzo di capi di abbigliamento in seta cinese, incontrando tuttavia la ferma opposizione dei nobili che ne andavano pazzi, per cui alla fine fu costretto a cancellare il divieto.

I romani credevano che la seta fosse ottenuta dalle piante: Plinio il Vecchio scriveva nella Historia Naturalis «primi sono gli uomini conosciuti come Seri, famosi per il filato ottenuto dalle foreste; dopo averle macerate in acqua estraggono la parte bianca dalle foglie... Tanta gente viene impiegata e tanto lontana è la regione da cui proviene per permettere alle matrone di indossare in pubblico vesti trasparenti». Tuttavia, una volta saputo che originava dalla filatura della seta prodotta dal baco, decisero si venire in possesso a qualsiasi prezzo della tecnica del suo allevamento.

Fino al 550 d.C., tutti i tessuti di seta provenivano dall'Asia. Si tramanda che attorno a quest'epoca l'imperatore romano Giustiniano abbia inviato in Cina due monaci, i quali, a rischio della vita, rubarono semi di gelso e uova di bachi da seta e li portarono segretamente a Bisanzio, mettendo così fine al monopolio cinese e persiano.

Con l'espansione del mondo islamico, il baco da seta arrivò in Sicilia e in Spagna. Nel XII e XIII secolo l'Italia diventò il maggior centro di produzione serica dell'Occidente, conservando la supremazia fino al XVII secolo, quando nacquero importanti laboratori tessili nell'area intorno a Lione, che fecero della Francia un’importante concorrente dell’Italia nell’industria della seta.

Nessun commento:

Posta un commento