Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

venerdì 25 marzo 2011

Nel Cielo cinese ci sono piu "Animali" che "Stelle"...

    L’astrologia popolare cinese è basata sui i dodici segni contraddistinti dai nomi di animali (Tigre, Coniglio, Drago, etc). Ma anche nell’antica astrologia il Cielo era molto affollato di mitici animali…


La Cina è l’unico paese al mondo dove le osservazioni astronomiche hanno avuto corso ininterrottamente da 4000 anni: l’alternarsi della luce delle tenebre, il moto della Luna e degli astri, il mutare ciclico delle stagioni sono stati da sempre un elemento di attrazione per l’uomo nel suo tentativo conoscere il mondo e di “governare” in qualche maniera i fenomeni naturali. La costruzione del calendario divenne una necessità strategica nella misura in cui l’uomo, divenuto sedentario, basò il suo sostentamento sulla agricoltura: per non sbagliare i periodi di coltura era necessario conoscere le regole dell’alternarsi delle stagioni.

Poiché si credeva che l’imperatore avesse ricevuto il suo mandato a governare direttamente dal Cielo, l’astronomia divenne rapidamente una scienza strategica in Cina. La responsabilità principale del potere politico era quella di mantenere la Terra in armonia con il Cielo: ecco che lo studio del cielo diventava un mezzo importante per “scrutare” la volontà del Cielo ed interpretare i segnali positivi e negativi che dall’alto venivano inviati in risposta all’operato dell’imperatore. Si credeva infatti che i segni celesti avvertissero che tale o talaltro evento, di solito calamità naturali, si sarebbe presto compiuto, e venivano considerati come una ricompensa o un castigo del Cielo per le azioni dell’uomo sulla terra. Ed essendo l’attività umana regolata dal governo dell’imperatore, i presagi che derivavano dalla osservazione dei corpi celesti e dei fenomeni ad essi connessi rivelavano la qualità del regime imperiale. In conseguenza a questa necessità, nell’ambito imperiale vennero istituiti gruppi speciali di funzionari (astronomi, astrologi, meteorologi) con il compito di osservare il cielo e di registrare tutti i fenomeni astronomici ed i “segni” celesti.

Per i cinesi antichi non esisteva né il concetto di «Fato», come inflessibile regolatore delle cose terrestri, quale per esempio viene espresso nell’«Edipo re» di Sofocle, né l’idea che l’uomo fosse totalmente in grado di determinare il proprio destino, alla maniera del «re Lear» di Shakespeare; per i cinesi il fato consisteva in una fusione armonica tra Cielo e Terra. I cinesi pensavano infatti che il destino di una persona fosse determinato da vari fattori: per un terzo contribuiva il “Destino del Cielo”, per un terzo il “Destino della Terra” ed infine per in altro terzo il libero arbitrio o “Destino dell’Uomo”. Il destino del Cielo e della Terra non può essere cambiato: tuttavia, conoscendolo, si possono prendere le iniziative opportune per superare gli ostacoli durante i periodi critici e afferrare le opportunità durante i periodo favorevoli. La fortuna non si realizza mai da sola: si concretizza al momento opportuno con la attiva collaborazione dell’individuo.

I Cinque Palazzi Celesti e le 28 Case Lunari

Gli astrologi cinesi divisero la sfera celeste in ventotto sezioni assegnando a ciascuna di esse una stella fissa e le denominarono « le 28 Case Lunari» (Xiu) attribuendo a ciascuna il nome di una costellazione. Ad ogni costellazione, secondo un simbolismo astrologico, fu assegnato un pianeta ed un elemento. Nella tradizione taoista, in ogni «casa» risiede un Guardiano, protettore del Regno Celeste. All’ingresso di molti templi taoisti troviamo quasi sempre grandi statue di questi Guardiani protettori.

Le ventotto Case Lunari sono distribuite in «Quattro Palazzi Celesti» ai quali sono abbinate una direzione ed una stagione. Ogni palazzo, che prende il nome della costellazione principale, contiene sette Case Lunari, alle quali viene assegnato un nome simbolico, che rappresenta le fasi delle stagioni ed i compiti che avevano gli agricoltori nel lavorare i loro campi.

La tradizione cinese di associare animali mistici con le quattro direzioni della bussola è molto antica: il primo riferimento ai quattro animali si trova nell’ Yi Jing (Il Libro dei Mutamenti) il ben noto manuale di divinazione. Questi animali non hanno alcuna relazione con i Dodici Animali dello Zodiaco cinese: tuttavia hanno un grande valore simbolico.

Il Palazzo Orientale (东官 dōng guān)

Sede del Drago Verde (o Azzurro) (青龍qīng lóng) , rappresenta sia l’Est che la Primavera ed è associato all’elemento Legno. Il Palazzo Orientale era anticamente la sede della grande costellazione del Drago Verde (o Azzurro) e la stella qualificante è Fuoco, Antares nello Scorpione. Le varie dimore lunari di questo palazzo portano nomi pertinenti alle parti del corpo di questo drago: il corno, il collo, il cuore, la coda. Contrariamente alla mitologia occidentale, il drago per i cinesi è simbolo benevolo e di buon auspicio, simbolo della forza e della fertilità maschile. A partire dalla dinastia Han venne associato all’immagine dell’Imperatore. Il drago trascorre l’inverno sotto terra ed il secondo giorno del secondo mese esce dalla terra e vola in cielo, causando il primo tuono e la prima pioggia primaverili. Il Drago Verde rappresenta la forza del risveglio, della Primavera, del Giovane Yang, del sole nascente, dell'uscita dalle tenebre dell'Inverno e della notte, di ciò che si eleva, di ciò che rinasce dunque del risveglio, del dinamismo del rinnovamento.

Il palazzo Meridionale (南官 nán guān)

Sede dell’ Uccello Vermiglio (朱鳥 zhū niǎo) , detto anche Fenice Scarlatta, (朱雀zhū què), rappresenta sia il Sud che l’Estate ed è associata all’elemento Fuoco e la stella qualificante è l’ Uccello. Se il drago rappresenta l’imperatore, la fenice è spesso associata al femminile e rappresenta l’imperatrice. Questo strano volatile è considerato una tra le creature più sacre del mito cinese. La tradizione vuole che la fenice abbia la testa di un cigno, la coda di un unicorno, il becco di un gallo, la gola di una rondine e le striature di un drago. In realtà nelle raffigurazioni pittoriche, gli artisti cinesi si sono sempre preoccupati di dare al loro volatile prediletto una forma aggraziata.

In alcuni testi taoisti si parla di una fenice color cinabro (rosso), nata in una grotta di cinabro al polo Sud. Poiché le pratiche alchemiche taoiste hanno generalmente una connotazione sessuale, la “fenice della grotta di cinabro” probabilmente indicava i genitali femminili: sui dipinti antichi e sui ricami delle sete tradizionali troviamo spesso la fenice che svolazza in coppia con la sua controparte maschile, il drago. Gli ideogrammi utilizzati per indicare la fenice rappresentano anche l’unione tra il maschio e la femmina, il sesso, insomma. I Cinesi ancora oggi ci scherzano sopra e giocando sul doppio significato del termine, usano la fenice per riferirsi al sesso.

L'Uccello Vermiglio rappresenta la forza del sole al suo zenit, del Sud e di ciò che è arrivato a piena maturità, del Grande Yang. Questo Uccello Rosso si trova dunque tradizionalmente di fronte e necessita di una spazio aperto o almeno libero.

Il Palazzo Occidentale (西官 xī guān)

Sede della Tigre Bianca, (白虎bái hǔ), è associata all’Ovest, all’Autunno e all’elemento Metallo e la stella qualificante è Pleiadi. La Tigre simboleggia il protettore delle armate dell’ imperatore e degli spiriti della morte. All’epoca della dinastia cinese degli Han si riteneva che la tigre fosse la regina di tutti gli animali. Antiche leggende raccontano che, raggiunta l’età di 500 anni, la tigre muta il suo manto nel colore bianco che caratterizza, per l’appunto, la tigre di metallo, divenendo una creatura mitologica. La Tigre Bianca rappresenta l’energia del sole calante, dell'Occidente, di ciò che è materializzato, realizzato, concretizzato, definito, terminato... ed efficace. Rappresenta il Piccolo Yin, il calare, il ritorno progressivo su se stesso, la calma ed il riposo e la tranquillità che permette di preparare il sonno il più riparatore. La sua posizione è ad Occidente, dalla parte del sole calante.

Secondo alcuni studiosi la Tigre ha sostituito nel tempo l’immagine di un altro animale mitico, l’Unicorno (麒麟 qí lín). Molte antiche leggende lo vedono protagonista nei panni di consigliere degli imperatori durante i processi. L’unicorno, tradizionalmente, ha il corpo di un cervo, la coda di un bue, zoccoli da cavallo e un singolo corno sulla fronte. Secondo una credenza popolare, per prevedere il futuro sarebbe necessario bruciare uno di questi corni, e con la luce prodotta dalla fiamma illuminare un bacile di acqua purissima. La presenza dell’unicorno raffigurato accanto o assieme ad un imperatore simboleggia la rettitudine di quest’ultimo.

Il Palazzo Settentrionale (北官 běi guān)

E’ la sede della Tartaruga Nera (黑龜 hēi guī) che rappresenta sia il Nord che l’Inverno ed è associata all’elemento Acqua; la stella qualificante di questo palazzo è il Vuoto, che corrisponde a β Acquario . Per i cinesi la tartaruga è sempre stato un animale enigmatico ed altamente simbolico: il suo guscio tondo veniva paragonato alla volta celeste, mentre la parte inferiore piatta veniva paragonata alla Terra. Essendo questo un animale longevo, sin dai tempi antichi è stato utilizzato come simbolo di lunga vita e di fedeltà: una antica leggenda narra infatti che, per ringraziarla dei suo aiuto per riportare ordine nell’universo, il mitico imperatore Shang Di la ricompensasse accordandole diecimila anni di vita. Gli antichi usavano decorare le lapidi dei loro defunti con incisioni a forma di guscio di tartaruga, come augurio di vita eterna. Quando gli imperatori emanavano una legge o qualche altra forma di comunicazione scritta, questa veniva incisa su tavolette di legno che poi erano legate al dorso di una tartaruga, come a significare che quelle parole sarebbero divenute eterne. Ma come molti simboli orientali, anche la tartaruga ha in sé così tanti significati da risultare ermetica a qualsiasi interpretazione, senza conoscere l’esatto contesto. E infatti, per qualche sconosciuta ragione, la testuggine simboleggia anche l’immoralità. Il termine “tartaruga nera” è utilizzato dai cinesi per indicare lo sfruttatore di prostitute. Il pappone, insomma.

Poiché secondo le credenze non esistevano tartarughe maschio, la tartaruga si sarebbe accoppiata con il Serpente, e dalla unione di queste creature mistiche si credeva che si fosse originata la Terra. Per questo la Tartaruga nera viene spesso rappresentata assieme ad un serpente (animale simbolico del Nord). Un’altra rappresentazione tipica è quella del Guerriero oscuro (玄武 xuán wǔ). La Tartaruga Nera rappresenta l’energia del Grande Yin (太陰 tài yīn) dell’inverno, della notte, il sonno ristoratore che genera il risveglio poderoso del Giovane Yang del Drago Verde. Simboleggia inoltre ciò che è fissato al suolo, dunque le fondamenta o le radici, la stabilità di tutte le costruzioni. La sua posizione logica è alle spalle, dove, con il suo guscio da sicurezza, protezione e longevità, difende dagli attacchi alle spalle.

Il Palazzo Centrale (中官 zhòng guān)

La sintesi con la Scuola dei Cinque Elementi si manifestò nella necessità di integrare un simbolo aggiuntivo ai Quattro già presenti: così, legato al Centro, protetto dai Quattro Animali Celesti sta il Palazzo Centrale , in cui si raccoglie tutta l’energia del Cielo (tian) ed è la sede dell’Imperatore, il Figlio del Cielo , simboleggiato dal Drago Giallo (黃龍 huáng lóng): Al Palazzo Centrale, che ospita l’Orsa Maggiore e la Stella Polare, non è stata associata nessuna Xiù. E’ la zona del cielo presente in ogni stagione dell’anno; ospitando la Stella Polare, la si associa al Polo Nord celeste.

I Simboli, ora nel numero di Cinque, si sovrappongono ai Principi Agenti, divenendone in qualche modo l’immagine iconica. In realtà troviamo differenti simboli animali legati ai Cinque Principi a seconda delle diverse tradizioni dell’Asia Orientale delle epoche in cui si sono prodotti.

venerdì 18 marzo 2011

Nel 1241 la Cina era “veramente” vicina! Il figlio di Gengis Khan faceva il bagno in Dalmazia…





Gengis Khan, è stato il sovrano che dopo aver fondando l'Impero Mongolo condusse il suo esercito alla conquista della Cina e di ampie zone dell’ Asia Centrale, la Russia, la Persia, il Medio Oriente e di parte dell'Europa orientale, dando vita, anche se per breve tempo, al più grande impero della storia umana. Ma se i Mongoli non hanno conquistato l’Italia, lo dobbiamo a molti (forse troppi) bicchieri di vino …






I mongoli erano pastori nomadi che alla fine dell’XI secolo vivevano come una società tribale nell’attuale Mongolia. Abili guerrieri a cavallo, erano spesso in conflitto con i Tartari, loro vicini a ovest. Gengis nasce con il nome di Temüjin (che significa “il fabbro”), probabilmente tra il 1155 e il 1167, primogenito di Yesügei, un capo della tribù mongola dei Kiyad. I suoi primi anni di vita sono segnati dalla morte del padre ad opera dei Tartari. La sua tribù non intende nominare un capo troppo giovane e quindi Temüjin e la famiglia sono allontanati e costretti a ad una vita errabonda. Verso l'età di 20 anni, spinto dal desiderio di vendetta, rivendica la posizione di capo nella propria tribù e stringe un’alleanza con Toghril, khan dei Keraiti, in quel momento forse il capo mongolo più potente. Ben presto Temüjin diventa uno dei possibili candidati al titolo di Gran Khan, carica rimasta vacante dopo le sconfitte subite ad opera dei Jin (tribù Jurken proveniente dalla Manciuria, che aveva sconfitto l’impero cinese Song nel 1115 e occupato gran parte della Cina settentrionale- NdA). La lotta per il potere dura alcuni anni ed ha termine quando il futuro sovrano dei Mongoli sconfigge le forze dei Keraiti e dei loro alleati. Nel 1206 Temüjin, durante un concilio di capi tribù, ottiene il titolo di Gengis Khan che significa "sovrano universale", o meglio ancora "grande oceano".Dopo avere riunificato le tribù mongole, Gengis Khan intraprende una serie straordinaria di conquiste: ma proviamo a ripercorrere, anche se telegraficamente, la parabola dello sviluppo e disgregazione del più grande impero della storia.


Gengis Khan
Nel 1209 invade il regno degli Xi Xia (Gli Xia Occidentali erano una popolazione di origine tibetana che si era stanziata nell’odierno Shaanxi e Ningxia [n.d.a]) e rapidamente li sottomette e li costringe a pagargli un tributo.

Nel 1211 Gengis Khan guarda alla Cina: questo obiettivo di maggior respiro viene scelto sia per vendicare antiche sconfitte, ma anche per conquistare le ricchezze dell'Impero Celeste.

Nel 1213 si spinge a sud della Grande Muraglia ed avanza con tre eserciti fino al cuore del territorio della Cina, sconfigge gli eserciti nemici, devasta il nord della Cina, conquista numerose città ed infine nel 1215 assedia, conquista e saccheggia la capitale dei Jin, Yanjing (in seguito nota come Pechino [n.d.a]). Malgrado ciò l'imperatore dei Jin non si arrende e sposta la capitale a Kaifeng; ma stranamente, invece di dare il colpo finale alla dinastia Jurken, Gengis Khan si rivolge a ovest e conquista Bokhara e Samarkanda. ( oggi Uzbekistan [n.d.a])

Nel 1218 le terre controllate da Gengis Khan si estendono verso ovest fino al lago Balkhash (nell’attuale Kazakistan [n.d.a]) confinando con Khwārezm ( oggi tra l’Uzbekistan e il Turkmenistan [n.d.a]), uno stato islamico che giunge fino al Mar Caspio ad ovest ed al Golfo di Persia ed al Mar Arabico a sud. Gengis Khan invia alcuni emissari nella provincia più orientale del Khwārezm per parlamentare con il governatore. Gli emissari mongoli vengono però trucidati e Gengis Khan reagisce allora inviando un esercito di 200.000 soldati. La campagna che segue è forse una delle più sanguinose, molte città vengono messe a ferro e fuoco e le loro popolazioni sterminate; secondo alcune tradizioni nella sola città di Merv vengono uccise un milione e mezzo di persone. Nel 1223 il Khwārezm viene annesso ai domini mongoli.

Impero mongolo alla morte di Gengis Khan
Conscio del passare degli anni, Gengis decide di dare delle regole per la sua successione in modo da evitare conflitti tra i suoi discendenti. Egli nomina Ögödei, suo terzo figlio, come successore e stabilisce un criterio per la selezione dei successivi khan, specificando che essi dovranno essere suoi discendenti diretti.

Durante la campagna contro Khwārezm l'imperatore degli Xia Occidentali (vassallo dei mongoli) che si era rifiutato di prendere parte alla guerra stringe un'alleanza anti mongola con i Jin. Dopo aver fatto riposare ed aver riorganizzato l'esercito Gengis Khan si prepara alla guerra contro di loro. Nel 1226 si volge a distruggere il regno degli Xi Xia: l’anno successivo però, proprio nel corso di questa campagna, Gengis Khan rimane ucciso.

Secondo le sue volontà l'impero da lui costituito viene diviso tra i quattro figli. Djuci, il maggiore, era già morto ed anche la sua paternità venne messa in dubbio, così che a suo figlio Batu sono assegnate le terre più lontane tra quelle conquistate, il sud della Ruthenia. Chagatai (secondo in linea di discendenza) era considerato una "testa calda" e ottenne l'Asia centrale ed il nord dell'Iran. Ögödei ottenne la Cina ed il titolo del padre, Gran Khan. Tolui, il più giovane, ricevette le terre natie dei mongoli.

Ogodei Khan
Batu comincia ben presto ad espandere i territori da lui controllati e nel 1236 conquista la Bulgaria del Volga. Dopo questa prima vittoria ha inizio, nel 1237, l'invasione della Russia. I Mongoli conquistano rapidamente il controllo delle steppe, inglobando le locali popolazioni turche nel loro esercito. L'obiettivo principale era il Rus’ di Kiev che, anche se ormai in fase di declino, era comunque il maggiore Stato russo. Nel 1240 i Mongoli conquistano e saccheggiarono Kiev ponendo fine alla sua prosperità. In breve tutti i principati russi che costituivano lo stato vengono conquistati.

Durante la conquista della Russia, i Mongoli avevano sconfitto le tribù dei Cumani, una popolazione turca stabilitasi a nord del Mar nero. Alcuni Cumani però erano fuggiti e si erano rifugiati nel Regno di Ungheria. Ma quando il Re di Ungheria Bela IV si rifiuta di consegnare i Cumani, Subutai, il comandante delle truppe mongole in Europa, prepara un piano per invadere l'Europa. Nel 1241 due armate principali al comando di Batu Khan e Subutai invadono l'Ungheria mentre un'armata più piccola invade la Polonia come diversivo per evitare che giungano aiuti agli Ungheresi da nord. Dopo aver saccheggiato gran parte del territorio polacco, i Mongoli si scontrano il 9 aprile con le forze polacche guidate da Enrico II il Pio, Duca di Slesia nella battaglia di Legnica: Enrico viene ucciso e le sue forze si disperdono mentre i Mongoli si dirigono a sud per congiungersi con le altre armate. Appena due giorni dopo le armate del sud sconfiggono gli Ungheresi nella Battaglia di Mohi, costringendo la famiglia reale a fuggire. Nonostante l'Ungheria non sia ancora affatto pacificata, i Mongoli marciano in direzione di Vienna: erano arrivati in Dalmazia fino ai confini del Friuli quando tutto ad un tratto si fermarono e con la stessa velocità con cui erano arrivati scomparvero. L’improvvisa ritirata fu dovuta alla notizia della morte del Gran Khan Ögödei alcolizzato, come tutti i figli di Gengis Khan e spesso ammalato per le conseguenze di questa piaga. Il gran concilio elesse Gran Khan Güyük suo figlio, ma Batu, che reclamava per sé il Gran Khanato rifiutò questa risoluzione e ripiegò rapidamente sulla Mongolia con tutte le sue Orde per affrontare colui che riteneva un usurpatore. Batu però non affrontò mai Güyük: arrivato in Cina trovò che anche lui era morto, stroncato dall’alcool.


Mongke Khan
In seguito, l'Orda fu impegnata su altri fronti e così nessuno più pensò di tentare nuovamente una grande campagna per conquistare l'Europa occidentale.
Nel 1251 assunse il potere Möngke, nipote di Gengis, che completò la conquista della Cina meridionale aiutato dal fratello Kublai. Nel 1253 Kublai attacca lo Yunnan, e distrugge il regno di Dali, mente il suo generale Uriyankadai avanza fino sulle coste dell'odierno Vietnam (1257).
Nel 1258, Möngke affida a Kublai il comando dell’esercito orientale e lo chiama in aiuto per gli attacchi che intendeva portare contro il Sichuan e, di nuovo, contro lo Yunnan. Ma nell’anno successivo prima che potesse arrivare in aiuto del fratello, Kublai viene raggiunto dalla notizia che Möngke era morto. Di lì a poco riceve la notizia che il suo fratello minore Ärik-böge stava usurpando il trono: raggiunto prontamente un accordo di pace con le truppe della Dinastia Song, torna nelle pianure mongole. La guerra civile che conseguì si concluse nel 1264 con la vittoria di Kublai, che fu riconosciuto Gran Khan dei mongoli.

Anche il generale Hülegü, che aveva ricevuto l'incarico dal gran khan Möngke di conquistare tutti i regni musulmani fino all'Egitto. Aveva conquistato Baghdad, e si apprestava ad assediare Gerusalemme, quando anche lui è costretto a ritirarsi per la morte di Möngke.

In questo periodo risultarono più evidenti gli aspetti positivi dell'espansione mongola, al di là della prima ondata di distruzioni che l'aveva accompagnata. Per la prima volta nella storia, infatti, l'Estremo Oriente era stato collegato all'Occidente da una continuità politica e territoriale che, oltre a favorire i commerci, rendeva possibili uno scambio diretto di conoscenze e l'apertura di nuovi orizzonti geografici e culturali. È in questo contesto che si spiega il viaggio di Marco Polo.

La pax mongolica tuttavia fu di breve durata. Dopo Kublai, la storia dell'impero mongolo si scinde in quella dei singoli khanati di cui era composto. La dinastia degli Ilkhān di Persia durò fino al 1336. Il khanato dell'Orda d'oro, nella Russia meridionale, era già in avanzata fase di disgregazione, quando nel sec. XVI ricevette i colpi decisivi da parte di Ivan il Terribile; tuttavia la dinastia mongola di Crimea sopravvisse, sotto la protezione ottomana, fino al sec. XVIII. Per quanto riguarda poi il khanato dei discendenti di Chagatai, secondogenito di Gengis Khan, passò attraverso vari smembramenti: la Transoxiana cadde nel sec. XIV sotto il dominio di Tamerlano, che ne fece il centro del suo regno.

In seguito alla cacciata dei Mongoli dalla Cina (1368), vari tentativi furono compiuti in Mongolia di riprendere l'eredità di Gengis Khan. L'ascesa dei Manciù nel sec. XVII segnò l'inizio di un nuovo periodo nella storia dei Mongoli. Ancor prima che i Manciù conquistassero la Cina nel 1644, le tribù orientali della Mongolia Interna riconobbero la loro sovranità.

Con la caduta della dinastia Manciù nel 1911, l'aristocrazia mongola della Mongolia Esterna proclamò la propria indipendenza, mentre la Mongolia Interna rimaneva unita alla Cina.

Riferimenti bibliografici.

M.Sabatini, P.Santangelo,Storia della Cina, Roma, Laterza ,2003
J.A.G Roberts,Storia della Cina,Bologna, Il Mulino, 2001
http://it.wikipedia.org/wiki/Impero_mongolo (13/03/2011)

http://it.wikipedia.org/wiki/Gengis_Khan (13/03/2011)
http://it.wikipedia.org/wiki/Kublai_Khan(13/03/2011)

venerdì 11 marzo 2011

I cinesi in America prima di Colombo: grande scoperta o grande bufala?







Secondo Gavin Menzies, ex ufficiale della Marina britannica e studioso appassionato delle antiche carte nautiche, fu una spedizione cinese a raggiungere per la prima volta le coste americane nel 1421. La Cina ha sconfessato questa ipotesi,
ma…chi avrà ragione?




Cristoforo Colombo fu davvero il primo a scoprire l’America nel 1492? E Magellano compì davvero la prima circumnavigazione terrestre nella sua spedizione del 1521? Oggi si fa strada una nuova ipotesi, basata sul ritrovamento di antiche carte nautiche, sull’analisi a computer dei dati astronomici e sulla scoperta di relitti di navi nel mare dei Caraibi. Gavin Menzies sostiene che fu una spedizione cinese a raggiungere per la prima volta le coste americane e a compiere il primo viaggio completo attorno al mondo.

Fino dal IX secolo la Cina aveva sviluppato una propria flotta marittima, inviando ambasciatori oltremare e dando vita a floridi scambi con l’Indonesia e con l’India. Quando nel 1403 l’imperatore Yong Le, della dinastia Ming, diede l’ordine di costruire la nuova flotta imperiale, lanciò uno dei più ambiziosi programmi di opere pubbliche. Le giunche usate per sfidare gli oceani erano gigantesche, avevano da quattro a otto alberi, 60 cabine passeggeri, 300 membri di equipaggio. Una di quelle giunche avrebbe potuto contenere la Niña, la Pinta e la Santa Maria (le caravelle di Colombo) tutte assieme. Le ammiraglie arrivavano a 146 metri di lunghezza e 60 di larghezza ed erano dotate di 24 cannoni di bronzo: a bordo viaggiavano squadre di astronomi, meteorologi, medici, botanici, traduttori ed interpreti.


Dal 1405 al 1433 furono effettuate sette memorabili spedizioni, mirate ad esplorare i paesi affacciati sull’Oceano Indiano, l’Africa orientale e il Golfo Persico. La flotta, denominata «flotta dei tesori» era composta da più di cento navi, tra ammiraglie, bastimenti militari, vascelli per la ricerca scientifica e grandi giunche mercantili per il trasporto di truppe, cavalli, viveri ed acqua potabile: era una armata invincibile con 28.000 uomini. A bordo c’erano sete, gioielli e concubine che l’Imperatore Celeste mandava in dono ad altri potenti della terra: ma soprattutto c’era un gruppo di esperti cartografi che dovevano disegnare una mappa dettagliata di questi viaggi. Gavin Menzies sostiene di avere trovato le prove che una di queste missioni sfociò nella scoperta dell’America. Secondo Menzies, nel febbraio del 1421 la «flotta dei tesori» lasciò la Cina per attraversare l’Oceano Indiano, doppiare il capo di Buona Speranza, risalire le coste occidentali dell’Africa e attraversare infine l’Oceano Atlantico fino ad esplorare le coste sud-americane. Sembra poi che doppiato lo stretto di Magellano, risalisse le coste cilene per poi riattraversare l’oceano Pacifico e ritornare in Cina.

Singolare fu anche il protagonista di questa impresa, l’ammiraglio Zheng He, un eunuco entrato fin da giovane al servizio dell’imperatore. Nella gerarchia di potere cinese, gli eunuchi ricoprivano funzioni cruciali: lungi dall’essere solo i guardiani delle concubine, erano in consiglieri dei sovrani per il protocollo, le finanze e la gestione del personale. Era tuttavia raro che un eunuco eccellesse nell’arte militare: inoltre Zheng He era anche di religione mussulmana, cosa non rara a quei tempi in Cina. Nel corso della settima ed ultima spedizione, nel 1433, Zheng he si ammalò e morì in mezzo all’ Oceano Indiano: aveva 62 anni e negli ultimi 28 anni aveva percorso 50.000 chilometri e visitato 37 paesi.

Il destino volle che la morte dell’eunuco coincidesse con una svolta politica dalle conseguenze profonde. Minacciati dai Mongoli e dai Tartari, i Ming furono costretti ad una revisione strategica fondamentale: spostarono la capitale da Nanchino (vicino al mare) alla attuale Pechino, nell’entroterra del nord ed abbandonarono la priorità navale in campo militare spostando la difesa sulla terraferma. La fine delle spedizioni marittime segnò l’inizio della chiusura e del ripiegamento dell’impero Ming.
Mentre la Cina si ritirava dai mari, le nascenti potenze europee osavano viaggiare sempre più lontano dal mediterraneo. Sembra appunto che una delle mappe redatte dai cinesi arrivasse, attraverso mille peripezie,nel Portogallo nel 1428 e finisse nelle mani dei maggiori navigatori europei, aprendo loro la strada per le note esplorazioni.
Recentemente la mappa in questione è stata presentata a Pechino, ed incredibilmente gli esperti cinesi ne hanno contestato seccamente l’autenticità, criticando la forma, le scritte, la lingua. «Ma come - hanno detto - non siete stati voi europei, attraverso i missionari gesuiti del Seicento, ad insegnarci la latitudine, longitudine e le nuove tecniche della proiezione reticolare sul mappamondo?» Il bello è che molti geografi e sinologi sostenevano da tempo che la carta di Mendies era al novanta per cento una patacca, ma non avevano il fiato per dirlo. Troppo forte era stato il clamore della notizia, sparata su siti web (www.1421.tv e www.gavinmenzies.net) su libri tradotti in decine di lingue (Gavin Mendies “142:la Cina scopre l’America” – Ed. Carocci- 2002).



Sarà vero? Sarà falso? Ai posteri l’ardua sentenza: resta il fatto che l’ipotesi di Menzies è molto suggestiva e il suo libro merita di essere letto!

















domenica 6 marzo 2011

Wu Zetian: l’unica imperatrice della Cina.


Durante i duemila anni dell’età imperiale, in Cina si sono succeduti 243 imperatori: l'unica donna a fondare la propria dinastia fu Wu Zetian: ha vissuto fino a 82 anni, ed ha regnato per ben 50 anni. La sua usurpazione, la sua prodigalità, il suo comportamento scandaloso e la sua abilità politica l’hanno resa una delle personalità più leggendarie e controverse della storia cinese.

Wu Zetian nasce a Chang’an, la capitale dell’impero, nel 627 d.C. da una famiglia di mercanti: all’età di 14 anni viene accolta nel gineceo dell’imperatore Taizong della dinastia Tang, con il grado di «concubina di talento», uno dei più bassi. Al tempo, le donne erano completamente sottomesse all’autorità maschile: non potevano andare a scuola, e nemmeno aspirare a occupare una qualche posizione in campo politico o sociale. Diversa era la condizione femminile alla corte dell’imperatore: i reperti archeologici dell’epoca mostrano donne relativamente libere, correre a cavallo in abiti maschili o giocare a polo, oppure cortigiane che vestivano abiti raffinati ed erano truccatissime. Wu scopre durante questi anni la poesia, la pittura e la danza, tuttavia, pur essendo sia attraente che intelligente, non riesce ad emergere.

Alla morte di Taizong, gli succede il figlio Gaozong, che l’accoglie nel suo gineceo. In questa nuova condizione, Wu Zetian manifesta rapidamente un'attitudine a tramare degli intrighi e un'ambizione personale non comune. Mentre il suo favore presso Gaozong aumenta, raccoglie attorno a sé dei cortigiani tra i nemici della imperatrice. Colpito da un infarto, Gaozong si appoggia ancora di più a lei: diventata una delle più influenti dame di corte, Wu si siede regolarmente al suo fianco e lo consiglia. In una documento che riassume i suoi « dodici propositi », dà prova di grande saggezza politica : preconizza un abbassamento delle tasse, incentivi a favore dell'agricoltura, l'incoraggiamento del pluralismo di opinioni.

Un giorno, una sua figlia neonata viene ritrovata morta soffocata dopo una visita dell'imperatrice. Wu Zetian l'accusa di omicidio e riesce a convincere l'imperatore a ritirarle il titolo, nonostante le proteste dei ministri. Promossa quindi ad imperatrice, fa arrestare, torturare e giustiziare i suoi oppositori. (tra gli storici c’è chi sostiene che abbia ucciso lei la figlia per raggiungere i suoi scopi). Dei quattro figli che dà a Gaozong, i primi due sono designati principi ereditari, ma Wu Zetian stessa li allontana dal potere: entrambi muoiono, uno avvelenato e l’altro assassinato. (anche qui gli storici accusano lei stessa di avere ordito la loro morte). Il terzo figlio Zhongzong diventa imperatore alla morte del padre nel 683 ma Wu Zetian rimane incaricata della politica come imperatrice madre. Durante quel periodo l’imperatrice rivela, secondo i suoi commentatori, di avere «un cuore di serpente ed una natura di lupo». Approfitta di una rivolta, rapidamente sedata, per eliminare i pochi oppositori rimasti a corte: crea quindi una polizia segreta ed instaura un regime del terrore. Nel 690, degrada il figlio dal titolo di principe ereditario e si proclama «imperatore» fondando una nuova dinastia: cambia il suo nome in Zhao (che significa «Luce»). Stabilisce una seconda capitale a Luoyang e trasferisce la corte periodicamente dall’una all’altra capitale con grande sconvolgimento e sperpero di risorse.

Al di là delle sue intemperanze, anche sessuali, Luce, come imperatrice, è tuttavia diligente, perspicace e benevola. Sceglie persone di talento e le mette in posizioni importanti, incoraggia la partecipazione delle donne alla vita politica. Durante il suo regno, il paese mantiene la sua prosperità ed il popolo vive in pace, anche se spesso Luce dovrà difendere le frontiere da numerosi tentativi di invasione da parte dei popoli confinanti. Tutto il periodo dei Tang rappresenta una fase di notevole progresso nella condizione femminile, ma in particolare Luce opera perché le donne abbiano accesso all’istruzione: sono rimaste famose alcune poetesse dell’epoca. Buddista fervente, sostiene la diffusione di questa religione finanziando la costruzione di molti monasteri: il clero, riconoscente, la venera acclamandola come reincarnazione dello stesso Budda.

Gli ultimi anni del regno della imperatrice vedono però un declino della sua influenza: il suo dispendioso programma edilizio e le sue costose campagne militari di frontiera avevano svuotato il tesoro. Luce si vede costretta a rimettere il potere nelle mani dei Tang, accettando che a tempo debito il trono tocchi a suo figlio Zhongzong. Solo nel 705 però, un complotto architettato dai suoi ministri costringe l’imperatrice ad abdicare; più tardi nello stesso anno Luce si spegne.

Figura molto controversa nel giudizio degli storici, subì inizialmente la condanna per la sua usurpazione, la sua violenza, la sua prodigalità, il suo comportamento scandaloso. Più di recente i successi durante gli anni del suo regno, l’hanno invece fatta riabilitare.

Chi fosse interessato ad approfondire la vicenda umana di Wu Zetian, può leggere la biografia scritta da Shan Sa: “Imperatrice” Ed. Bompiani- MI- 2004

giovedì 3 marzo 2011

Qin Shi Huangdi, primo imperatore della Cina...quello sì ha fatto le "grandi opere"!

Qin Shi Huangdi è considerato il fondatore dell’impero cinese: resta famoso per la sua violenza, le grandi riforme sociali, le grandi opere (iniziò la costruzione della Grande Muraglia): ma più di tutto, è noto in occidente per i seimila guerrieri di terracotta ritrovati nella sua tomba a Xi’an.


L'epoca in cui nacque corrisponde all'ultima fase del cosiddetto Periodo dei Regni Combattenti (870-221 a.C.): dei molti piccoli regni in cui la Cina era divisa, ne sopravvivevano ormai solo una manciata, e di questi il regno di Qin era uno dei più potenti. Zhèng (questo era il vero nome del futuro imperatore) ascese al trono di Qin nel 247 a.C. e, ben consigliato dal suo ministro Li Si, uomo pratico ed esperto di guerra, mosse subito le sue armate contro lo stato di Han, sul quale ebbe la meglio nel 230 a.C. Nel giro di pochi anni gli altri regni vennero sconfitti l’uno dopo l’altro: nel 221 a.C., governando ormai l'intero territorio cinese, Zheng forgiò per sé il titolo di Qin Shi Huangdi (letteralmente "Augusto Sovrano della Dinastia Qin”). Da notare che la stessa parola "Cina” viene fatta generalmente risalire a "Qin" (che si pronuncia appunto «Cin»).

Dopo aver riunificato la Cina l'imperatore si dedicò a rafforzare il suo dominio e la sua amministrazione; condusse varie campagne contro le popolazioni nomadi che abitavano i confini del suo impero, in particolare le tribù mongole del nord; non riuscendo però a sconfiggerli definitivamente, decise di collegare tra loro le varie mura erette in passato a difesa del territorio in quello che divenne il primo nucleo della grande muraglia cinese, che nei secoli successivi venne estesa fino a ben 6.350 chilometri!

Dal punto di vista amministrativo, il Primo Imperatore si accinse a realizzare una serie di riforme che avrebbero lasciato un impronta indelebile sulla successiva storia cinese. Abolì il regime feudale e divise l’impero in 36 governatorati, amministrati ciascuno da un governatore civile, da un governatore militare e da un terzo ispettore con l'incarico di riferire all'imperatore sull'operato dei primi due. Si realizzava così un modello di controllo attraverso la divisione dell’autorità che era destinato a perdurare per tutto il periodo imperiale. Vennero unificate le unità di misura, venne costruita una raggiera di strade che si irradiavano dalla nuova capitale Xiangyang (vicino all’odierna Xi’an) e fu fissata la larghezza dell’ assale dei carri che le percorrevano. Vennero messe in circolazione monete standard di oro e di rame. Venne fatta una riforma del linguaggio scritto, che rese uguali i caratteri scritti e li fece diventare universali in tutto l’impero.

Nel 213 a.C., su consiglio di Li Si, allo scopo di eliminare ogni traccia della tradizione che potesse costituire una minaccia al suo mandato imperiale, attuò il rogo dei libri, durante il quale furono bruciati tutti gli antichi testi; al rogo dei libri si accompagnò poi una violenta persecuzione contro gli intellettuali, soprattutto di matrice confuciana, 460 dei quali furono sepolti vivi.

Durante il suo regno, l’imperatore si appassionò alle teorie alchemiche del taoismo ed in particolare al segreto della immortalità, da cui fu ossessionato negli ultimi anni della sua vita. Inviò dei suoi emissari alla ricerca della leggendaria terra di Penglai, dove sarebbero vissuti gli immortali; secondo la leggenda costoro – non avendola ovviamente trovata - non tornarono mai dall'imperatore, temendone la furia, rifugiandosi in Giappone. Durante uno dei suoi numerosi viaggi per ispezionare l'efficienza dell'amministrazione imperiale, nel 210 a.C., Zheng si ammalò e morì: secondo la leggenda, i suoi dottori avevano confezionato delle pillole che avrebbero dovuto renderlo finalmente immortale, ma paradossalmente queste, contenendo mercurio, lo avvelenarono.

Fu poi sepolto nel mausoleo che si era fatto costruire a Xi’an, oggi patrimonio dell'umanità e famoso per l'imponente esercito di terracotta sepolto con l'imperatore. Queste statue - oltre 6000 guerrieri di terracotta - erano di guardia alla tomba dell’ imperatore. Le statue rappresentano una minima parte del complesso archeologico che occupa un'area di 56.000 metri quadrati, ancora oggi in gran parte ancora sotto terra (sono stati riportati alla luce solo 500 guerrieri 18 carri in legno e 100 cavalli in terracotta).

Secondo lo storico cinese Sima Qian, nato un secolo dopo, alla costruzione del mausoleo lavorarono oltre 700.000 prigionieri nel corso di 10 anni. La camera funeraria conteneva un modello dell’impero, aveva pareti in bronzo ed era circondata da fiumi di mercurio che, per la filosofia taoista, sarebbe un attivatore energetico per l'immortalità. Nella tomba erano state inserite trappole esplosive che avrebbero dovuto uccidere tutti gli intrusi: si racconta infine che, per custodire i segreti del mausoleo, i lavoratori che l’avevano costruito vennero sepolti anche loro nella tomba.

Nella tradizione cinese il primo imperatore è generalmente descritto come un tiranno brutale, superstizioso, ossessionato dall'immortalità e terrorizzato dagli assassini. Non si sa quanto di tutto ciò sia vero, ma probabilmente i giudizi degli storici antichi sono offuscati dalla propaganda confuciana, che condannava l'imperatore per le sue persecuzioni contro di loro. Gli studiosi moderni paragonarono il rogo dei libri alla Rivoluzione Culturale di Mao Zedong, dato anche un comune odio verso gli intellettuali dei due grandi personaggi della storia cinese. Tuttavia, quando a Mao Zedong fu riferito di essere stato paragonato al primo imperatore, egli ribatté: «Egli seppellì vivi 460 studiosi; noi ne abbiamo sepolti vivi quarantaseimila... Voi [intellettuali] ci accusate di essere dei Qin Shi Huang. Vi sbagliate. Noi abbiamo sorpassato Qin Shi Huang di cento volte»