Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

venerdì 29 luglio 2011

Chengyu del giorno: Il vecchio cavallo conosce la strada

老马识途
lăo mă shí tú

Metafora per dire che una persona di esperienza riesce a cavarsela in qualsiasi situazione

La storia:


Il Duca Huan fu il più noto legislatore del regno di Qi, nel periodo delle Primavere ed Autunni. Coadiuvato dal suo primo ministro, mise in atto una serie di riforme politiche, economiche e militari che portarono il suo regno in posizione dominante fra i vari feudatari della Cina centrale. Durante il suo regno, il Duca Huan, su suggerimento del suo primo ministro Guan Zhong, attaccò il regno di Shan Rong, che spesso aveva minacciato i confini del regno di Yan, alleato di Qi. All’inizio la campagna militare stava procedendo con successo: impaurito dalla fama del Duca Huan, il re di Shan Rong fuggì assieme alla sua famiglia nel vicino stato di Gu Zhu. Guan Zhong disse allora al Duca:”Anche se il re di Shan Rong fugge, dobbiamo comunque distruggere completamente il suo esercito, altrimenti prima o poi ricominceranno a minacciare il regno di Yan.

Il Duca di Yan, d’accordo con di Guan Zhong, avanzò una sua proposta: “Wu Zhong è un regno amico di Yan ed ha sofferto molto a causa di Shan Rong: se chiediamo anche il loro aiuto, potranno inviare delle truppe rapidamente; in più, loro conoscono molto bene il territorio”

Il Duca Huan acettò i loro suggerimenti e fu così che l’armata di Qi si mosse verso nord per affrontare Shan Rong con la guida della cavalleria di Wu Zhong.

Il re di Gu Zhu aveva ordinato al generale Huang Hua di resistere all’attacco di Qi, ma i suoi uomini non erano all’altezza dei guerrieri di Qi e dopo aver perso alcune battaglie, stava per arrendersi, quando un suo ufficiale gli disse:”C’è più a nord un posto chiamato Mare Secco: è un deserto senza fine e nessuno ne potrebbe uscire senza una buona guida. Se uccidiamo il re di Shan Rong e offriamo la sua testa al Duca Huan, lui certamente si fiderà di noi, poi lo attireremo nel Mare Secco e lo potremo sopraffare senza difficoltà.

A Huang Hua piacque questa idea e fece come gli era stato suggerito: come aveva previsto, nè il Duca Huan nè i suoi ministri si avvidero dell’inganno: credettero che Huang Hua e I suoi uomini li conducessero verso la capital di Gu Zhu, ma ad un certo punto di trovarono nel mezzo del deserto senza né acqua né guide. Guardandosi attorno, nella landa deserta fredda e ventosa, i soldati furono presi dal panico e presto, stanchi ed assetati, non sapevano più dove andare. Dopo una notte insonne, il primo ministro Guan Zhong si ricordò improvvisamente che alcuni vecchi cavalli della cavalleria di Wu Zhong erano stati catturati da Gu Zhu e disse al Duca: “I cavalli vecchi ricordano la strada che hanno fatto. Questi animali intelligenti possono farci strada e condurci fuori di qui.” Infatti questo successe ed i soldati di Qi uscirono sani e salvi da quel deserto infernale.

vedi anche: cento tiri, cento centri

sabato 16 luglio 2011

Chengyu del giorno: bǎi fā bǎi zhōng (Cento tiri, cento centri)

百 发 百 中
bǎi fā bǎi zhōng
Cento tiri, cento centri


La Storia: Nel periodo delle Primavere ed Autunni, c’era un abitante del regno di Chu che si chiamava Yang Youji che era molto bravo nel tirare con l’arco. Un giorno, se ne stava a 100 metri da un salice: mirò ad una foglia dell’albero e la colpì. Quindi colpì la foglia accanto, e poi ancora molte altre foglie senza mancare un colpo. Le persone attorno a lui furono tutte scosse e divertite dalla sua grande precisione di tiro. Presto tutti nel paese vennero a conoscenza della sua impresa e giustamente lo chiamarono “Cento tiri, cento centri”

Spiegazione: Metafora per dire che uno riesce a prevedere correttamente il futuro.


Esempio di uso:

现在 很 少 有 人 有 百 发 百 中

xiànzài hěn shǎo yǒu rén yǒu bǎi fā bǎi zhōng

Pochi oggi hanno l’abilità di “Cento tiri, cento centri”



Vedi anche: chengyu: pillole di saggezza cinese

sabato 9 luglio 2011

Destino, Fato, Karma e non-azione: gli orientali sono più liberi di noi?

Se facciamo riferimento alla nostra esperienza vissuta, il «libero arbitrio» si presenta come una facoltà legata alla possibilità di scegliere e di agire senza costrizioni (esterne o interne). In maniera ancor più significativa, il libero arbitrio appare in stretto rapporto con l'autonomia della volontà. Infatti, nessun individuo può considerarsi veramente libero se la sua volontà è determinata dalle condizioni esistenti a un dato istante. L'elemento essenziale, è che la libertà non è una modalità astratta di operare, ma è una facoltà che appartiene a un essere personale, capace di porsi come condizione o causa delle proprie azioni. Non essendo possibile avere libertà all'interno di processi automatici che si svolgono al di fuori della consapevolezza, ne consegue che la libertà si presenta in stretta connessione alla coscienza, poiché solo la coscienza, ovvero la capacità di rappresentare le conseguenze prevedibili di una data opzione, permette di riflettere su di essi, rendendo possibile ad ogni istante una modifica dei nostri orientamenti e del corso delle nostre azioni.

Il concetto di libero arbitrio si contrappone alle varie concezioni deterministiche secondo le quali la realtà è in qualche modo predeterminata (destino, fato), per cui gli individui non possono compiere scelte perché ogni loro azione è predeterminata prima della loro nascita (predestinazione).

Con «destino» o «fato» tradizionalmente ci si riferisce all'insieme di tutti gli eventi inevitabili che accadono in una linea temporale soggetta alla necessità. Può essere concepito come l'irresistibile potere o agente che determina il futuro, sia in termini generali concernente l'intero cosmo fino ad ogni singolo individuo. Il concetto è basato sul credo che esista un ordine naturale prefissato nell'universo.

Nella Grecia antica, il «Fato» era invincibile ed è personificato dalle tre Moire (chiamate Parche dai Romani). Figlie di Zeus e Temi, erano la personificazione del destino ineluttabile: Cloto, ( che in greco antico significa "io filo") che appunto filava lo stame della vita, Lachesi, (che significa "destino"), che lo svolgeva sul fuso ed Atropo, (che significa "inevitabile"), che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile. Si tratta di tre donne dall'anziano aspetto che servono il regno dei morti, l'Ade: il sensibile distacco che si avverte da parte di queste figure e la loro totale indifferenza per la vita degli uomini accentuano e rappresentano perfettamente la mentalità fatalistica degli antichi greci. Esse agivano spesso contro la volontà di Zeus. Ma tutti gli dei erano tenuti all'obbedienza nei loro confronti, in quanto la loro esistenza garantiva l'ordine dell'universo, al quale anche gli dei erano soggetti.

La tragedia di Edipo è simbolica a riguardo: Edipo è un personaggio maledetto, eppure egli aveva fatto tutto il possibile per evitare che la profezia si avverasse: aveva cambiato città e vita, ma ciò non era servito a nulla. In questa tragedia viene sviluppato il tema del conflitto tra predestinazione e libertà, tra volontà divina e responsabilità individuale. Viene presentata un’etica basata non sull’intenzionalità, ma sulla cecità del fato e sull’inesorabilità del castigo, che colpisce Edipo a prescindere dal fatto che questi abbia una qualche responsabilità (e in questo consiste, in effetti, l’aspetto più propriamente tragico della vicenda).

Nonostante i due termini siano usati in modo intercambiabile, il fato e il destino sono due concetti distinti.

Il fato è un potere o un agente che predetermina e ordina il corso degli avvenimenti, e che aggiunge ad essi un'aurea di sortilegio e di oscurità. Gli eventi sono ordinati o "pre-decisi" e sono messi in opera da una forza o intelligenza che ci trascende, che agisce su di noi, spesso per il peggio.

Il destino non ha alcuna delle connotazioni negative del fato. Il destino ha la stessa radice di "destinazione": destinare, dirigere qualcosa verso una data meta ("è destinato a diventare un capo"). Senza una voluta partecipazione del soggetto non c'è destino. (“ognuno è artefice del proprio destino”). Il destino non può essere costretto ad agire su qualcuno; se si viene costretti dalle circostanze, allora si tratta di fato.

Se il fato è una conseguenza determinata da un agente esterno che agisce su una persona o su una entità, col destino l'entità partecipa attivamente alla conseguenza di un progetto che è direttamente correlato a sé stesso. La partecipazione accade in tutta coscienza.

Il fato è il contesto nel quale diamo forma al nostro destino. Il nostro destino, è quello che noi abbiamo deciso che sarebbe stato, prendendo direttamente parte agli avvenimenti. Noi abbiamo indirizzato le circostanze verso uno sviluppo stabilito e così facendo abbiamo determinato le circostanze future. Prendendo parte al nostro destino, noi diamo forma al fato.

In campo religioso il libero arbitrio implica che la divinità, per quanto onnipotente, scelga di non utilizzare il proprio potere per condizionare le scelte degli individui. Il concetto di libero arbitrio è molto dibattuto nell'ambito religioso in relazione all'onniscienza attribuita alla divinità nelle religioni monoteistiche. Esso è alla base della religione cattolica mentre risulta uno dei punti di contrasto con la religione luterana per la quale l'uomo non può in alcun modo agire per liberare la propria anima, mentre il cattolicesimo considera fondamentali le opere quanto le preghiere. Alla stessa idea del luteranesimo aderiva anche il calvinismo per il quale l'uomo è predestinato e per questo a niente servono le proprie opere e le proprie azioni, poiché l'elemento decisivo è solo la fede.

Ma vediamo come la pensano in proposito gli orientali: secondo il pensiero indiano, l'uomo è perfettamente padrone del proprio destino, e tutto ciò che accade nella sua vita è una conseguenza delle sue azioni presenti o passate. I buddhisti affermano l'esistenza della legge di causa-effetto, conosciuta anche come legge del karma (termine sanscrito che significa "azione"). Secondo questa legge, ogni pensiero e ogni azione hanno una inevitabile ripercussione che si manifesta in un tempo successivo sul soggetto che le ha messe in atto, attirando su di lui eventi o situazioni di identica qualità. Tali ripercussioni possono verificarsi nel corso della vita presente o in un'incarnazione successiva. Ciò che si è fatto in vite anteriori determina, nella vita successiva, le condizioni di base ma anche tutta una serie di eventi, incontri e predisposizioni. All'interno di questo contesto predeterminato, siamo liberi di intraprendere nuove iniziative che formeranno le condizioni di base delle vite successive.

Ciò che ci accade è quindi dovuto in parte a predestinazione (eventi inevitabili attirati da noi stessi con azioni compiute in vite anteriori) e in parte a libera scelta del momento. La legge del karma spiega molte cose: perché certe persone sono fortunate o sfortunate, perché certe si ammalano e altre no, perché si muore in un modo piuttosto che in un altro, perché accadono i "colpi di fulmine" e molto altro. Si tratta di un percorso molto ampio, i cui estremi, passato e futuro, s’intrecciano con il relativo presente. Questo presente è l’essenza stessa del libero arbitrio e, salvo apparenti eccezioni, in ogni momento si possono fare scelte consapevoli, partendo da quello che si trova “in situazione”. Si può decidere di abbandonarsi agli eventi, di collaborare con essi o di avversarli; ma si può anche decidere di essere al di fuori degli eventi. Il Karma, quindi, risulta essere un percorso formativo che dura diverse vite e che permette all’uomo di evolvere o meno in funzione del modo in cui egli usa il libero arbitrio.

In una situazione dipendente da fattori non causati dalla volontà diretta, l’uomo può decidere in quale modo affrontare l’evento. Ritornando alla tematica dell’accettazione costruttiva, l’uomo ha la possibilità di migliorare la situazione in cui viene a trovarsi ma sempre nei limiti delle sue reali possibilità. Spesso, purtroppo, gli capita di sottovalutare o sopravvalutare le proprie possibilità e, in entrambi i casi, finisce per peggiorare la situazione. Ecco perché diventa indispensabile il percorso della consapevolezza, in quanto permette di conoscersi fino al punto di affrontare la situazione, agendo nella maniera più consona possibile.

Una delle derivazioni del concetto di predestinazione più ricca di conseguenze pratiche nella società cinese arcaica è stata quella del Mandato del Cielo ( 天命: Tiānmìng) un concetto tradizionale di sovranità utilizzato per legittimare e sostenere il regno dei sovrani della dinastia Zhou e successivamente delle dinastie imperiali della Cina. Secondo questo concetto, il cielo benediceva l'autorità del sovrano giusto e virtuoso conferendogli il mandato a regnare, ma poteva ritirare il mandato ad un sovrano corrotto e ingiusto, conferendolo ad un sovrano più meritevole. Cataclismi come alluvioni e carestie erano quindi interpretati come segni del ritiro del mandato da parte delle divinità.

Il Mandato non aveva limiti di tempo, ma richiedeva che il sovrano si comportasse in modo saggio e virtuoso. Un imperatore legittimo non doveva necessariamente essere di nascita nobile; in effetti potenti dinastie come gli Han e i Ming furono fondate da uomini di nascita comune.

Il «Mandato del Cielo» è un concetto simile al principio europeo del «diritto divino» dei re, che legittimava il potere monarchico in quanto manifestazione della volontà di Dio. La differenza principale è che il «Mandato del Cielo» consentiva la detronizzazione del sovrano ingiusto. In entrambi i sistemi la ribellione era considerata ingiusta, ma nel pensiero cinese, una rivolta contro il tiranno che fosse coronata da successo era considerata una prova che il «Mandato del Cielo» era passato in altre mani.

Poiché si credeva che l’imperatore avesse ricevuto il suo mandato a governare direttamente dal Cielo, l’astronomia divenne rapidamente una scienza strategica in Cina. La responsabilità principale del potere politico era quella di mantenere la Terra in armonia con il Cielo: ecco che lo studio del cielo diventava un mezzo importante per “scrutare” la volontà del Cielo ed interpretare i segnali positivi e negativi che dall’alto venivano inviati in risposta all’operato dell’imperatore.

Nella maggioranza delle culture il proprio destino può essere conosciuto per tramite di uno sciamano, un profeta, una sibilla o un veggente, cioè mediante la divinazione.

Contrariamente a società come la nostra, dove la divinazione è un fenomeno marginale, nella società cinese antica costituiva una procedura normale nella pratica del diritto, della medicina e della vita quotidiana.

(vedi : Gli sciamani, l'arte divinatoria e il culto dei morti)

Si credeva infatti che i segni celesti avvertissero che tale o talaltro evento, di solito calamità naturali, si sarebbe presto compiuto, e venivano considerati come una ricompensa o un castigo del Cielo per le azioni dell’uomo sulla terra. Ed essendo l’attività umana regolata dal governo dell’imperatore, i presagi che derivavano dalla osservazione dei corpi celesti e dei fenomeni ad essi connessi rivelavano la qualità del regime imperiale. In conseguenza a questa necessità, nell’ambito imperiale vennero istituiti gruppi speciali di funzionari (astronomi, astrologi, meteorologi) con il compito di osservare il cielo e di registrare tutti i fenomeni astronomici ed i “segni” celesti.

Ma al di là della divinazione orientata a scrutare quanto l’imperatore fosse “allineato” con il suo Destino, si diffuse rapidamente nella Cina antica l’arte della divinazione individuale: i maestri del feng shui si proponevano di rispondere alle seguenti domande:

• Un individuo è in grado di controllare il suo destino?
• In che misura l’anno, il mese, il giorno e l’ora di nascita influiscono sul destino di una persona?
• Chi nasce in un momento propizio potrà contare su una buona sorte e viceversa, chi nasce in un momento infausto dovrà attendersi una vita misera?

Suan Ming 算命 significa alla lettera «calcolare la sorte» o Computo del Fato: l’arte di valutare l’essenza di un singolo individuo attraverso la sua data di nascita risale alla dinastia Tang (618-907 d.C.). Era un’arte avvolta dal massimo riserbo, un segreto assai ben custodito e tramandato di padre in figlio e da maestro a discepolo. Ancora oggi questa tecnica non è molto nota. Il Computo del Fato è un complicato sistema di indagine del futuro fondato su cicli numerici attribuito all’ indovino Li Xu Zhong: si tratta in pratica di un ramo minore dell’astrologia, perché i dati su cui si basa non hanno diretta attinenza con i fenomeni celesti bensì con il calendario, il quale, pur essendo derivato da essi, ne è legato da relazioni sempre più tenui.

Il primo passo nella comprensione dell’individuo consiste nell’analizzare i cosiddetti «Quattro Pilastri del Destino» ( 丝柱 si zhu): ogni Pilastro è composto da una coppia di antichi caratteri cinesi utilizzati per la identificazione del tempo in un complesso sistema sessagesimale. Suan Ming consiste quindi nell’identificare gli Otto Caratteri di nascita ( 八字 ba zi) (due dell’anno, due del mese, due del giorno, due dell’ora). La coppia di caratteri presenti in ciascun Pilastro consta di un «Tronco Celeste» e di un «Ramo Terrestre» è detta anche «binomio». Ogni carattere viene inoltre associato ad uno dei Cinque Elementi (Legno, Terra, Fuoco, Metallo, Acqua), nonché allo Yin o allo Yang. Gli abbinamenti propizi tra Tronchi e Rami sono apportatori di fortuna, a differenza degli abbinamenti infausti che richiamano sventura.

(vedi anche: Il nuovo anno cinese inizia il 3 febbraio...sapete perché?)

La interpretazione dei Quattro Pilastri del Destino consente di capire le relazioni che un individuo ha con i suoi genitori, moglie o marito, figli, amici, superiori e subordinati; quale tipo di attività o lavoro avrà più possibilità di successo; quando è propizio dare inizio a iniziative o affari.

Il destino scritto nei Quattro Pilastri non può essere cambiato: tuttavia, se noi lo conosciamo, possiamo prendere le iniziative opportune per superare gli ostacoli durante i periodi critici e afferrare le opportunità durante i periodo favorevoli. La fortuna non si realizza mai da sola: si concretizza al momento opportuno con la attiva collaborazione dell’individuo. I cinesi pensano infatti che il destino di una persona sia determinato da vari fattori:

1. il Destino del Cielo (30%), che rappresenta il disegno cosmico in cui siamo inseriti
2. Il Destino della Terra (30%), che rappresenta l’ereditarietà, i cromosomi, in generale i condizionamenti della natura
3. Destino dell’Uomo (30%), che rappresenta il libero arbitrio o la capacità dell’uomo di determinare il proprio futuro
4. l’educazione e la fortuna in senso generale (10%): questo è il contributo del contesto in cui si vive, della società a cui si appartiene

I primi due in realtà sono la parte immutabile, legata più al Fato, mentre il destino dell’Uomo coinvolge attivamente le sue scelte di vita: come sempre i cinesi hanno una mentalità “sincretica” e sono riusciti a creare un felice sintesi tra predeterminazione e libertà.

La prima frase del classico confuciano Zhong Yong (il Giusto Mezzo) dice:

“il Mandato del Cielo si chiama Natura, agire secondo la Natura si chiama Via, coltivare la Via si chiama insegnamento/apprendimento”.
La natura è collegata al Mandato del Cielo (= ordine cosmologico), chi segue la natura segue la Via (il Dao) e coltivare la via è apprendere.

La parola di Confucio è, da subito incentrata sull'uomo e la responsabilità della sua realizzazione. Tre cose risultano essenziali nel suo insegnamento: L'apprendimento, il senso di umanità e lo spirito rituale. Per lui innanzitutto c'è l'apprendimento e il ruolo centrale che Confucio vi attribuisce corrisponde alla sua intima convinzione che la natura umana sia perfettibile. Per la prima volta in una cultura aristocratica fortemente strutturata in caste e in clan si ha una integrale considerazione dell'individuo: tale atteggiamento rappresenta una sostanziale scommessa sull'uomo ispirata ad un sostanziale ottimismo. L'apprendimento, dunque, non come un procedimento intellettuale ma come esperienza di vita: l'apprendimento è una esperienza che si pratica, che si condivide con altri, che è fonte di gioia, che trova in se stessa al propria giustificazione ed rappresenta la costruzione attiva del proprio destino.

In polemica con Confucio, che metteva al primo posto nella realizzazione del proprio destino la partecipazione attiva alla vita sociale, i taoisti hanno una diversa visione dell’agire umano: I taoisti erano convinti che esistesse una realtà ultima, soggiacente alla molteplicità delle cose e degli eventi che osserviamo: essi chiamarono questa realtà Dao, che significa Via. Il Dao è la via, il procedere dell’universo, l’ordine della natura. Nel suo originario significato cosmico, il Dao è la realtà ultima, indefinibile, un processo dinamico in cui tutte le cose sono immerse, che produce il flusso ininterrotto dei mutamenti delle cose. I confuciani ne diedero una interpretazione differente: essi parlarono del Dao dell’uomo o del Dao della società umana, intendendo con esso la giusta via in senso morale.

Il concetto di entità suprema nel Taoismo non si identifica con un'entità senziente, un dio giudice, padre, padrone, che osserva il mondo dall'alto e gestisce le sorti degli uomini. Al contrario l'entità suprema taoista è energia pura, che pervade l'intero universo. Il «Dio» del Taoismo è la natura stessa di cui l'uomo fa parte, il ciclo perpetuo che provoca il mutare e il divenire di tutte le cose. Diventa chiaro allora che Dio non è, come in occidente, l'Essere primo, assoluto e trascendente che sta al di sopra e prima di tutti gli esseri concreti, ma un principio o energia immanente che è dentro il cosmo. Non è un essere personale, ma coincide con l'azione della natura, impersonale e imparziale.

Il Cielo e la Terra sono privi di umanità
Trattano i diecimila esseri come cani di paglia
(Lao Zi, V)


Tutto è divenire, cambiamento, secondo un principio ordinatore spontaneo, immutabile ed eterno. In questo senso non è pensabile una predestinazione dell’ uomo, né un Fato più o meno malvagio, se mai un notevole determinismo della natura che ripete eternamente i suoi cicli obbedendo a rigide regole. Indipendentemente dal nostro modo di pensare, la vita va avanti a modo suo: che sia tutto predeterminato o tutto casuale, noi semplicemente reagiamo a ciò che ci accade. Qualunque cosa pianifichiamo o speriamo possa accadere, la vita spesso si svolge in modo inspiegabile: ci chiediamo perché bisogna morire, perché le persone perbene abbiano tante difficoltà mentre i delinquenti sembrano spassarsela e così via, senza pensare che probabilmente è un po’ presuntuoso pretendere di avere queste risposte. La religione ci fornisce delle risposte, che però presuppongono la fede: razionalmente parlando, non abbiamo nessuna prova dell’aldilà o di un disegno divino … lo conosceremo forse solo dopo morti. L’unica cosa certa è quello che ci sta di fronte giorno per giorno.

Il taoismo ci aiuta ad affrontare la vita «qui ed ora» non a prepararci ad una vita futura. Il taoismo si basa sulla idea che chi si oppone al flusso della vita sarà sempre stressato, infelice e deluso: chi ha delle aspettative sarà sempre in cerca di nuovi obiettivi o in lotta per mantenere ciò che già ha: se uno perde la notorietà o mai la raggiunge sarà sempre insoddisfatto. L’idea principale del taoismo è che uno dovrebbe occuparsi solo di ciò he la vita gli propone: di iniziare ogni giorno senza avere delle aspettative da esso. La vita ci può portare grande felicità o una orribile tragedia … chi lo può sapere? Che possibilità di scelta abbiamo? Possiamo lottare, impegnarci, ma non possiamo impedire alla vita di fare ciò che farà: la natura farà il suo corso, il caso farà il suo corso, il caos farà il suo corso. Prendersela con Dio per ciò che accade è inutile, non è pregando Dio che evitiamo la morte. Più uno si aspetta qualcosa sia di buono che di cattivo, più sarà infelice ed inappagato. Se non ti aspetti nulla, tutto ciò che è buono sarà una benedizione: se è una bella giornata, godiamocela, avrebbe potuto piovere!


Colui che agisce distruggerà,
Colui che prende perderà
Il Santo, non agendo su nulla, nulla distrugge,
Non impadronendosi di nulla, nulla ha da perdere
(Lao Zi,64)



Ogni volta che cerco di «imporre il mio io» andando controcorrente rispetto al corso naturale delle cose, questo è ciò che i taoisti chiamano «wei» (l’agire che forza la natura). Quando l’azione va nel senso delle cose, quando si lascia portare dalla corrente, è quello che i taoisti chiamano «wu wei» (letteralmente il «non-agire», ma meglio «l’agire che aderisce alla natura»). Tutto ciò che nell’uomo è volizione, costruzione, istituzione di distinzioni, non rappresenta che la parte periferica del suo essere: soltanto quando la lascia cadere, l’uomo ritrova il suo proprio centro. Ma cerchiamo di capire meglio cosa si intenda davvero per «non-agire»:

I maestri taoisti credono che un possa vivere in armonia con il “flusso della vita”: ci dovremmo svegliare la mattina e fare quello che desideriamo fare … non “dovremmo” andare a lavorare se questo ci dà fastidio, non “dovremmo” fare nulla che ci renda infelici: ovviamente ci sarebbero delle conseguenze per le nostre azioni, ma noi siamo esseri umani “liberi”. Sicuramente saremo penalizzati e perseguitati per non avere rispettato le regole sociali, ma siamo noi che “decidiamo” di rispettare o meno le regole della società in cui viviamo. Tutte le società impongono delle regole in nome di una accettabile convivenza ma qui non si tratta di mancanza di libero arbitrio, si tratta al più di “condizionamento sociale” :. Rinunciare parzialmente alla propria libertà in nome del buon vivere comune è una “libera” scelta … se ciò non va bene si può sempre fare l’eremita!

Se ci capita qualcosa di spiacevole o tragico, il taoismo sostiene che noi dovremmo accettarlo come qualcosa che è accaduto: se ci licenziano, se divorziamo o se ci muore qualcuno non possiamo tornare indietro e cambiare la vita … ciò che è accaduto è accaduto. Più ci coinvolgiamo emozionalmente contro queste cose, più sofferenza sperimenteremo. La nostra sofferenza non modificherà il risultato. Ovviamente nessuna morte rende felici, ma l’idea è che la vita possa essere buona: un nuovo figlio, un nuovo lavoro, il successo finanziario non possono durare per sempre; le relazioni vengono e se ne vanno, i figli lasciano la casa dei genitori, il lavoro finisce, la gente muore … cosa c’è di strano? è la vita. Se qualcuno o qualcosa migliora la vostra vita, godiamocelo. Se la famiglia o il lavoro ci danno soddisfazioni, godiamoceli. Ma non aspettiamoci che tutto ciò duri per sempre. Può durare per molto tempo, oppure no.

Come abbiamo visto, anche nel mondo orientale le posizioni riguardo al libero arbitrio sono abbastanza diverse: il problema purtroppo, come dice il buon Zhuang Zi, è sostanzialmente insolubile:

«”Qualcosa guida il tutto” e “Nulla agisce all’ origine del mondo” sono due tesi che riguardano le modalità delle cose e in fin dei conti sono false … tutto ciò che si può esprimere in parole e costituirsi in idee si allontana dalla realtà … Queste due tesi non considerano che il minuscolo mondo degli esseri umani … se la parola bastasse, basterebbe parlare del Tao tutto il giorno per raggiungerlo.»