Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

venerdì 30 marzo 2012

Ma... i cinesi sono religiosi?

In che cosa credono i cinesi? Bella domanda!

Immersi come siamo nelle categorie delle religioni monoteistiche, noi occidentali ci aspetteremmo una risposta che ci permettesse di capire la religiosità cinese attraverso paragoni con i nostri punti di vista: purtroppo questo approccio risulta fuorviante per capire la religiosità orientale. Il problema è piuttosto complesso: vanno infatti chiariti alcuni concetti che la nostra cultura dà per scontati ma che non lo sono affatto per i cinesi.

Tanto per cominciare, per noi, essere religiosi significa sostanzialmente credere in un Dio onnipotente e creatore di tutte le cose: semplificando, chi crede in Dio è religioso, chi non ci crede è ateo. Inoltre, nelle cosiddette «Religioni del Libro» (ebraismo, cristianesimo e islam), è centrale l’idea della «rivelazione»: Dio si è rivelato in un determinati momenti storici e in precise circostanze agli uomini. Ciò comporta che Dio è concepito come «Persona» che quindi si interessa coscientemente dell’uomo verso il quale si pone nella posizione di «Padre» amorevole e misericordioso o di «Sommo Giudice», avendo dato all’uomo anche una legge morale. In conseguenza l’uomo vede in Dio non solo l’essere che ha creato e regge l’universo ma soprattutto Colui al quale può rivolgersi per lodarlo, ringraziarlo, per chiedere perdono e ispirazione e anche aiuto nelle circostanze difficili della vita. Dio diventa cioè una presenza continua nella vita del credente il quale si sente continuamente in comunicazione con Lui.

(vedi: Il concetto di persona nella cultura orientale)

In Oriente invece l’idea che Dio si sia rivelato all’uomo è totalmente assente: all’Essere Supremo si arriva per ragionamento filosofico o, se si preferisce, con il buon senso: ma poiché Egli non si è rivelato, l’uomo non gli si può rivolgere. Dio assume l’aspetto di una ipotesi teorica che in concreto non entra nella vita quotidiana dell’uomo. Per quanto possa sembrare strano a noi occidentali, Dio non è quindi al centro della religiosità cinese.

E ancora, poiché il nostro Dio si è rivelato, la «Verità» è sempre una e una sola: quella rivelata, ovviamente, che viene attentamente codificata. Purtroppo però ci sono state nel tempo varie interpretazioni della verità, con la conseguente nascita di sette e confessioni diverse, ciascuna delle quali riteneva di essere la vera depositaria della «Unica» Verità accusando le altre di eresia. Da ciò è derivata la propensione alle guerre di religione – che hanno devastato l’occidente per secoli - con l’assimilazione degli erranti (eretici) ai malvagi: chi distorce il messaggio divino è fuori della sua grazia, è un peccatore, non può essere un virtuoso. Ma quando non vi è una rivelazione non esiste nemmeno una ortodossia: gli orientali possono quindi seguire anche teorie diverse, pensatori e mistici di diversa ispirazione, pratiche religiose differenti: tutto ciò appare legittimo e non dà, in genere, adito a lotte religiose.

In Occidente le chiese sono presenti ovunque e ogni agglomerato di abitazioni per quanto piccolo ha, nelle immediate vicinanze, un luogo di culto: in Cina invece i templi sono – a parte alcune eccezioni - in luoghi appartati come i nostri monasteri. Inoltre in Cina i templi non svolgono quella funzione aggregante - centri di iniziative caritative o culturali - che hanno le nostre parrocchie: non esiste una figura simile al nostro parroco che sia di riferimento e non solo per i fatti religiosi. Non esiste nemmeno un clero secolare organizzato: i monaci si dedicano alla meditazione, alla preghiera, alla custodia dei templi.

Ma dal punto di vista antropologico la religione non può essere identificata nella sola credenza in Dio: essa invece è costituita dalla credenza che, oltre agli esseri materiali e corporei, esistano esseri spirituali e invisibili. Le due sfere di realtà una spirituale e una materiale restano ordinariamente ben distinte e incomunicabili: le pratiche religiose hanno il fine di mettere in comunicazioni le due sfere, di permettere all’uomo di attingere al mondo degli spiriti, del sovrasensibile. Anche in ambito cristiano oltre a Dio esistono come esseri spirituali gli angeli i demoni, le anime dei defunti fra le quali spiccano per particolare importanza quelle dei santi: si possono invocare e pregare tali entità ma solo perché a loro volta essi possano invocare e pregare Dio, unica fonte di ogni potere.

Come abbiamo visto, nella religiosità cinese Dio in pratica non svolge nessun ruolo in relazione agli uomini: quindi l’uomo, non potendo rivolgersi a Lui, deve rivolgersi agli altri esseri spirituali che, a differenza della credenza cristiana, hanno un loro potere autonomo. Per i cinesi esistono innanzi tutto le anime dei defunti: massima importanza danno alle anime dei propri antenati che considerano sempre presenti nelle proprie famiglie: tradizionalmente esisteva sempre un altarino in ogni casa con delle tavolette che rappresentavano gli antenati stessi a cui venivano dedicati sacrifici e preghiere. Da noi viene considerata superstizione, retaggio di ignoranza, indegno di un uomo moderno credere che esistano entità spirituali del tutto autonome dall’idea di Dio, tipo spiriti della natura (geni delle fonti e dei boschi ), esseri malvagi o buoni ( elfi, fate streghe) o che siano possibili magie e incantesimi: tutto ciò è fuori della religione. I retaggi animistici cinesi comportano invece la credenza in varie entità naturali che non hanno consapevolezza ma che possono essere pericolosi per gli uomini. Si possono tenere a bada con alcuni accorgimenti: le soglie degli usci di casa debbono essere alzati in modo che queste entità si inciampino entrando, i ponti vengono costruiti a zigzag in modo che non possano attraversali, nelle abitazioni bisogna costruire un foro nella parete opposta alla porta in modo che se, per caso, uno spirito entra in casa possa uscire agevolmente per il foro. Queste pratiche corrispondono in Occidente nelle superstizioni popolari (numeri sfortunati, gatti neri, fatture, etc) che però in Occidente sono decisamente contrastati dalla religione ufficiale.

(vedi anche: Gli sciamani,l'arte divinatoria e il culto dei morti nella Cina antica)

Per il Cristianesimo l’uomo ha una anima immortale, creata direttamente da Dio: alla morte l’anima e il corpo si separano (almeno fino al Giudizio Universale) e quindi si riceve il premio o il castigo secondo le azioni compiute in vita. Si vive quindi una e una sola volta: la morte è un avvenimento unico e irreversibile che determina poi la vita eterna. Una delle conseguenze della diffusione del buddhismo in Cina è invece la diffusa credenza nella reincarnazione: l’anima è immortale ma può rientrare in altri corpi attraverso leggi sconosciute. Esistono anche inferni e paradisi ma questi non sono eterni: purificano l’anima e la premiano prima di ritornare all’incarnazione. Il buddhismo insiste sul fatto che solo l’annullamento (il nirvana) libera l’anima: ma questo interessa i mistici non il comune credente. La morte pertanto non è un fatto unico e definitivo: si può nascere e morire molte volte, la morte è un passaggio verso un’altra vita e perde la sua drammatica irreversibilità.

Non è neppure chiarissimo quale termine cinese traduca il concetto di “Dio”. La parola più importante è shen, che – come l’espressione occidentale “spirito” – può indicare la componente spirituale dell’uomo, oppure un personaggio che fa parte della categoria degli spiriti o divinità, o la realtà spirituale in genere. Quando sono chiamati shen, gli spiriti o divinità sono yang e superiori, e si oppongono agli spettri o demoni chiamati gui, che sono invece yin. L’espressione guishen (che indica i demoni e gli dei, e il loro mondo) mostra ancora una volta come, pure nel mondo degli spiriti, le componenti yin e yang devono necessariamente coesistere. Lo stesso avviene per quella che si è chiamata componente spirituale dell’uomo. Non si tratta dell’“anima” nel senso occidentale del termine, anzitutto perché non è unica: ogni persona ha diverse “anime” o componenti spirituali, sia di tipo yin, chiamate po, sia di tipo yang, chiamate hun. Le “anime terrestri” o po alla morte rimangono legate alla Terra, interagendo con il cadavere o tormentando i viventi come fantasmi. Le “anime celesti” (hun) – che sono sempre più di una per ogni persona – rinascono in Cielo come spiriti divini, o si reincarnano in Terra, o ancora risiedono nelle tavolette e altri emblemi che non solo celebrano ma “ospitano” gli antenati nel santuario della famiglia o del villaggio.

(vedi anche :Matteo Ricci: come fare diventare cinese anche Dio)

Il fatto che ogni persona abbia più “anime” permette di rendere compatibili il soggiorno del defunto nel sacrario degli antenati e, contemporaneamente, la sua reincarnazione sulla Terra o la rinascita in Cielo come spirito divino. La famiglia patrilineare estesa, insieme alla gerarchia sociale, occupa un posto di straordinario rilievo nella spiritualità cinese. Recentemente, l’espressione “culto degli antenati” è stata contestata dagli specialisti e sostituita più frequentemente con “culto dei morti”, non senza sottolineare che la differenza fra i “morti” e i “vivi” è molto più sfumata rispetto all’Occidente. I “morti” sono vivi, particolarmente per i membri della loro famiglia, di cui fanno parte e cui si manifestano e appaiono in una molteplicità di modi diversi. Professionisti del sacro chiamati sciamani o medium dagli studiosi occidentali sono importanti in Cina e nell’emigrazione: non trasmettono tanto messaggi dei defunti, ma di spiriti divini (i quali però, come si è visto, possono essere antenati rinati in Cielo come divinità). Non solo questi professionisti, ma qualunque persona può apprendere i rudimenti della predizione del futuro, che si basa ancora una volta sull’interazione fra yin e yang, particolarmente nelle formule dell’I Ching, un testo attribuito al leggendario imperatore Fu-Xi che insegna a interpretare sessantaquattro esagrammi formati da combinazioni casuali di cinquanta bastoncini.

In Cina la separazione fra potere politico e religione ha avuto una tradizione molto più ampia che in Occidente a prescindere, naturalmente, dal Tibet dove invece i monaci detengono direttamente anche il potere politico come avveniva spesso nel nostro Medio Evo. Fino a tempi e recenti in Occidente il sovrano giustificava il suo potere con una investitura più o meno diretta da Dio stesso: il sovrano era tale «gratia dei», per volontà da Dio, ed aveva il compito di essere il difensore della fede e di applicare la legge divina stessa. Solo recentemente il potere politico ha perso la sua aurea religiosa per diventare invece espressione della volontà popolare.


Anche in Cina l’imperatore era dichiarato «Figlio del Cielo» ed era il sacerdote supremo, cioè il tramite fra il popolo e la divinità: infatti egli ogni anno usciva dalla sua residenza (la Città Proibita) per andare nel vicino «Tempio del Cielo» per propiziare i raccolti e renderne grazie. Tuttavia il potere politico si ispirò soprattutto a Confucio che affermava una religiosità etica e civile incentrata su ordine e doveri: le pratiche religiose restavano sempre qualcosa di distinto, spesso visto con sospetto dal potere stesso.

I cinesi parlano comunemente di «tre insegnamenti» [ 三 教 sān jiào] – confucianesimo, taoismo e buddhismo – e questo schema è stato adottato, almeno fino a tempi recenti, dalla maggioranza degli studiosi occidentali della religione in Cina. E’ vero che in tutte e tre le direzioni si sono sviluppate degli indirizzi di carattere più propriamente religioso (in senso formale ed organizzato), tuttavia bisogna tenere presente che la civiltà cinese ha il suo fondamento spirituale nell’etica e non nella religione. I cinesi non si occuparono tanto di religione perché si dedicarono alla filosofia. Secondo la tradizione cinese, la funzione della filosofia non è di aumentare la conoscenza positiva ma di elevare lo spirito, cioè tensione verso quanto sta oltre il mondo presente e attuale: si può quindi dire che il posto occupato dalla filosofia nella civiltà cinese è paragonabile a quello tenuto dalla religione nelle altre civiltà.

(vedi anche:Temi fondamentali della speculazione cinese )

Una delle differenze più grandi tra oriente e occidente è la visione morale. La filosofia greca e la religione giudaico-cristiana sono stati i due capisaldi della tradizione occidentale: la prima ha operato inaugurando una logica disgiuntiva che ha separato il mondo del Cielo, sede d'ogni valore, da quello della Terra, dove la materia è causa d'ogni involuzione e impedimento; la seconda si è inserita con i propri dogmi creando un dualismo cosmico che ha contrapposto "la vita alla morte", lo "spirito alla carne", il " peccato alla redenzione". Il pensiero giudaico-cristiano è impostato sul concetto del «peccato» come distacco, separazione dal Bene. A partire dal peccato originale, tutto il senso del percorso umano è la lotta contro il Male, per l’affermazione finale del Bene.

Niente di tutto questo in Oriente: per il pensiero cinese, «bene» e «male» sono inseparabili componenti dell’esistenza (yin/yang): sarebbe quindi inconcepibile un’azione volta alla «eliminazione» di uno dei due principi. Il Santo per i cinesi non è tanto colui che lotta contro il male per il bene, quanto quello che «si astiene dagli eccessi», che vive nel «giusto mezzo», mantenendo un grande equilibrio tra le pulsioni. Un «eccesso di bene» è altrettanto dannoso di un «eccesso di male». Zhuang Zi esprime in modo chiaro il concetto con la sua prosa paradossale:

«Abbattete i Santi e liberate i banditi, il mondo intero ritroverà l’ordine. Se il fiume si asciuga, la valle di secca; franando, la collina riempie i baratri. Morti i santi, i banditi non sorgono più; se ogni affare cessa, la pace regna nel mondo».

Il riferimento a «Tre Insegnamenti» può far sorgere la tentazione di dividere i cinesi in confuciani, taoisti e buddhisti (senza contare, naturalmente, i cristiani , i musulmani ed i seguaci dell’ateismo scientifico marxista propagandato dal regime). In realtà non è così, perché nella tradizione cinese è perfettamente normale rivolgersi, per diversi rituali e necessità della vita, al confucianesimo, al taoismo e al buddhismo, senza che neppure si possa parlare di doppia o tripla “appartenenza”, dal momento che la stessa nozione di “appartenenza” a una religione si applica difficilmente alla spiritualità cinese. È vero che, nella storia dell’Impero, ci sono stati tentativi di imporre una religione di Stato: ma si è trattato di tentativi effimeri, proprio in quanto hanno incontrato la resistenza della popolazione.

Infatti non è raro osservare cinesi che si riferiscono ai principi confuciani per quanto riguarda le relazioni sociali (rispetto, moderazione), ai principi taoisti per quanto riguarda la propria vita interiore ( pratiche salutistiche, ascesi) ed infine rivolgersi al buddhismo in età avanzata, in quanto questa religione viene considerata più adatta a trattare il problema della morte, della reincarnazione. Da non dimenticare che negli ultimi anni, la tradizione cristiana sta prendendo piede per quanto riguarda la celebrazione dei matrimoni (l’abito bianco piace molto alle donne cinesi) e perché no, anche alla celebrazione del Santo Natale!

(vedi anche: Il Natale cinese: colpa di Confucio e del Partito Comunista!)

In secondo luogo, la formula dei «Tre Insegnamenti» è stata coniata da una tradizione culturale «colta», e rivolta alle persone colte, e rischia di lasciare fuori quella che in Occidente è chiamata “religiosità popolare” e che governa una serie di attività gestite dalle famiglie o da specialisti religiosi locali, a proposito dei quali spesso è difficile dire se siano confuciani, taoisti o buddhisti. Fra queste attività – cruciali per la vita spirituale cinese – si situano la celebrazione dei funerali e quella del nuovo anno cinese e delle feste rituali scandite dal calendario tradizionale.

(vedi anche: Arriva l'anno del Coniglio! miti, leggende e tradizini del capodanno cinese)

Ma secondo il sinologo Joseph Needham a monte di molteplici manifestazioni e differenze, esiste una cosmologia e una religiosità specificamente cinese che ha influenzato lo sviluppo del buddhismo in Cina e rispetto alla quale il confucianesimo e il taoismo costituiscono solo dei tentativi di sistematizzazione.

Il principio essenziale di questa «religiosità cinese» è l’esistenza del qi come materia prima o componente fondamentale dell’universo. Nessun tentativo di traduzione della parola qi in lingue occidentali è giudicato interamente soddisfacente dai cinesi. Se si parla di «materia prima», infatti, si rischia di dimenticare che il qi è una realtà primordiale insieme materiale e spirituale. «Energia» o «forza vitale» sono forse traduzioni più soddisfacenti, ma anche queste non traducono completamente il carattere insieme fisico e metafisico del qi. Il qi opera secondo due principali modalità, chiamate yin e yang: l’ideale cinese – e il modo con cui il qi si manifesta armoniosamente – non è quello di una prevalenza di yang su yin, ma di un equilibrio e di un’armonia fra i due principi. Equilibrio, armonia, moderazione – come sottolinea la tradizione confuciana – sono valori essenziali nella visione del mondo cinese.

Al sistema non è tuttavia estranea un’idea di gerarchia: l’«alto» e il «basso» sono entrambi necessari, ma non sono sullo stesso piano. Perché la società sia «armoniosa» (cioè, yin e yang siano in equilibrio) sono necessarie una gerarchia e una burocrazia, in cui ciascuno sappia esattamente quale è la sua parte e il suo compito. Così importante è la burocrazia nella mentalità cinese che lo stesso mondo celeste è visto come organizzato in modo burocratico e gerarchico, con il divino Imperatore di Giada (celebrato nel capodanno cinese) che ha lo stesso ruolo del monarca terreno nella Cina imperiale. Yin e yang devono essere in armonia e in equilibrio anche all’interno del corpo umano, e a questo fine – per esempio – è necessario assumere in modo equilibrato alimenti classificati come yin e yang. Se l’equilibrio si rompe, l’energia qi non riesce più a fluire armoniosamente all’interno del corpo, determinando le malattie e ultimamente la morte.

Il qi gong, spesso definito come la versione cinese dello yoga, cerca precisamente di restaurare il fluire armonioso del qi all’interno del corpo umano attraverso una serie di esercizi e di tecniche. Tutto il vastissimo campo della cosiddetta «medicina tradizionale» cinese è pure basato sulla nozione di un necessario flusso armonioso del qi. Poiché il qi è un principio sia fisico, sia metafisico non è sempre facilissimo distinguere la medicina cinese dalla religione; e analoghe considerazioni valgono per il qi gong e per le scuole di arti marziali (anch’esse spesso basate sull’idea di un controllo dell’energia che fluisce attraverso il corpo umano).

La domanda quando ci si trova di fronte a correnti di origine cinese, è se si tratti di realtà religiose o non religiose. È un problema che esiste anche in Cina, dal momento che il regime comunista guarda con sospetto le religioni, e per numerose correnti e scuole è più facile sopravvivere presentandosi come non religiose. Non potendo sradicare facilmente tradizioni più che millenarie, il regime ha infatti cercato di distinguere fra pratiche tradizionali che sarebbero semplicemente curative, dietetiche, ginniche o sportive (che sono insieme controllate attraverso organizzazioni governative e cautamente promosse), e “superstizioni” o “sette malvagie” che sono invece combattute con tutta la potenza di una macchina repressiva totalitaria.

Idee confuciane e taoiste, e la “religiosità cinese” in genere, vivono anche fra i molti immigrati cinesi in Italia che non si sono convertiti al cristianesimo, ma in genere – come si è accennato – in forme non organizzate. Maestri cinesi, insieme ad altri occidentali (che spesso sono stati loro allievi), guidano o ispirano centri “taoisti”, che offrono corsi di arti marziali, di qi gong e yoga, di dietetica e di “circolazione e controllo dell’energia vitale”, nonché spesso di Feng Shui, l’arte cinese di disporre gli oggetti, di arredamento e di architettura che si è conquistata negli ultimi anni tanti entusiasti sostenitori in Occidente. Certamente molti di questi centri sono piuttosto palestre di arti marziali, che non sottolineano – o progressivamente perdono – qualunque elemento religioso.

Un interesse particolare – a causa del duro conflitto con il regime cinese – ha assunto il Falun Gong, presente anche in Italia da alcuni anni. Il Falun Gong – come molti altri gruppi di qi gong – potrebbe essere presentato come gruppo “sincretistico”, con elementi buddhisti, taoisti e confuciani, se non fosse che le caratteristiche peculiari della “religiosità cinese” rendono ambiguo qualunque uso del termine “sincretismo” in Cina.

Ma quanti sono realmente i credenti in Cina? In Occidente noi contiamo i battezzati e quelli che assistono regolarmente alle messe domenicali. Ma mentre i battezzati sono la quasi totalità della popolazione, coloro che frequentano regolarmente le messe domenicali sono meno del 25 %. In Cina non esiste nulla si somigliante al battesimo o alla messa: il cinese non è mai chiamato a manifestare esplicitamente le sue credenze religiose: ufficialmente tuttavia si parla del 20% di persone credenti (dato simile a quello dei credenti occidentali).

Soprattutto va notato che le pratiche religiose sono essenzialmente utilitaristiche: si chiede qualcosa di concreto della vita di tutti i giorni: mi è capitato, mentre visitavo un tempio taoista a Chengdu, di chiedere ad un giovane che si era offerto di farmi da guida, cosa chiedessero i fedeli nelle loro preghiere: con il suo stentato inglese, mi rispose: «Health, long life, money and children... better boys» in pratica il nostro «salute e figli maschi!»

Fonti:

http://www.cesnur.org/religioni_italia/c/cina_01.htm
http://www.giovannidesio.it/articoli/religiosita%20cinese/index.htm

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