Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

venerdì 25 maggio 2012

«L’uomo è ciò che mangia» diceva Feuerbach: ma se mangiamo cinese, diventiamo cinesi?


L’uomo è ciò che mangia: in tedesco, “der Mensch ist was er isst”. L’obiettivo manifesto che Feuerbach si poneva  era naturalmente, quello di sostenere un materialismo radicale e anti-idealistico, a tal punto da portarlo a sostenere che noi coincidiamo precisamente con ciò che ingeriamo… Forse questa coincidenza tra essere e mangiare potrà sembrare un po’ eccessiva, ma è innegabile il fatto che, se siamo, è perché mangiamo. Che poi siamo ciò che mangiamo, forse è un po’ troppo, con buona pace di Feuerbach.






Tuttavia è innegabile che ogni cultura è legata al proprio cibo, e che il cibo o il modo di mangiare sono elementi fondamentali per capire la cultura di un popolo: a questo proposito, per meglio comprendere la cultura orientale (e quella cinese in particolare) propongo  una piccola meditazione sulla tanto odiata/amata cucina cinese, fonte di infiniti pregiudizi e incomprensioni. Sicuramente la grande diffusione di ristoranti cinesi in tutto il mondo (quasi mai di buona qualità) ha creato una serie di stereotipi paragonabili a quelli sulla cucina italiana: ricordo in proposito che i piatti italiani più diffusi al mondo sono la pizza (nelle sue infinite “localizzazioni”) e gli “spaghetti alla bolognese”, cioè al ragù. Piatto, questo,  “inesistente” in quanto con il ragù i bolognesi condiscono le tagliatelle e non gli spaghetti!


Un altro pregiudizio occidentale sulla cucina cinese è la assoluta “diversità” dei cibi rispetto all’occidente: nell’immaginario delle stranezze cinesi alloggiano la zuppa di tartaruga, le zampe d’orso, il cervello di scimmia, il serpente, i nidi di rondine, la pinna di pescecane (tutti piatti di cui  nella Cina di oggi si è quasi persa la memoria). È vero che i cinesi mangiano cose strane, quali spiedini di scorpioni  o cavallette fritte, croccanti come le patatine, ma non per questo sono pazzi: dimostrano invece un certo realismo pratico. Fu infatti nell’anno 628 d.C. che l’imperatore Tai Zong lanciò la moda delle cavallette fritte per dimostrare al popolo che le invasioni periodiche di questi insetti, apportatori di fame e carestie, non erano un segno della collera del Cielo ma un eventi naturale di cui ci si poteva avvantaggiare in qualche maniera.


 La cucina cinese è in effetti sorprendentemente ricca e varia perché non ha tabù di carattere religioso: è una cucina saggia, parsimoniosa, dove la infinita varietà delle materie prime usate è frutto di una millenaria ricerca volta a rendere commestibile tutto ciò che può essere digerito. Un proverbio cinese dice che si può mangiare tutto quello che vola, nuota, striscia e cammina, e il gusto tutto cinese di trovare per ogni cosa, luogo o evento, la denominazione adeguata, aiuta senza dubbio a rendere più appetibile un topo, chiamato per l’occasione “daino domestico” o un serpente il cui nome è stato rettificato in “anguilla di cespuglio”. La penuria è quindi alla base della ricerca della grande varietà di generi commestibili: basta infatti arrostire o bollire un pezzo di carne per renderlo gustoso, ma in una economia prettamente contadina dove l’agricoltura e non l’allevamento ha dominato l’economia del paese per millenni, bisogna avere della fantasia per rendere appetibile una minestra di semi di loto, petali disseccati di giglio e colza! Un altro aspetto legato alla scarsità di cibo è l’uso del consumo collettivo del cibo: ogni piatto è a disposizione di tutti i commensali che si servono direttamente con le loro bacchette e quindi non è necessario assegnare a ciascuno una precisa porzione. Con tre etti di carne, un petto di pollo, qualche verdura ed un po’ di riso si possono sfamare cinque o sei persone: certo che se i tre etti di carne li servite sotto forma di bistecca, il petto di pollo lo friggete così come è, la verdura la servite cruda è difficile raggiungere questo obiettivo.


Uno dei retaggi della povertà (che del resto ritroviamo anche da noi, in particolare nel sud) è il fatto che, quando si è invitati ad un pranzo, non è segno di maleducazione lasciare qualcosa sul piatto, dando così un segnale di sazietà; il piatto vuoto, per i cinesi, indica che il padrone di casa non ha soddisfatto pienamente l’appetito dei suoi ospiti! Lo stesso vale per le bevande: una volta, da un amico, ho capito che dovevo lasciare il bicchiere pieno solo al limite della ubriachezza… appena io vuotavo il bicchiere, lui lo riempiva immediatamente!


Una delle caratteristiche del mangiare cinese è l’uso dei bastoncini: non si trova a tavola forchetta o coltello. Il cibo, in effetti, in Cina viene sempre servito in tavola in modo da evitare l’uso del coltello, che viene utilizzato solo in fase preparatoria, quella che si svolge in cucina. Questa non è semplicemente una usanza ma un principio che sottintende una rigida divisione del lavoro, cioè una economia con grande disponibilità di mano d’opera servile. Non a caso, nelle classi elevate c’era l’uso di farsi crescere lunghissime  le unghie delle dita proprio per dimostrare che non si aveva bisogno di fare nulla con le mani.


Partita quindi da una necessità di valorizzare al massimo la scarsa disponibilità di materia prima, la cucina cinese ha mantenuto questo modo di fare anche nei periodo di relativa abbondanza: l’alta cucina cinese si è così risolta in una cucina di qualità, mille delizie, mille piattini, mille salse.


Ma i pregiudizi non sono solo occidentali: «Il cibo e le bevande dell’Estremo Occidente non sono di qualità raffinata e raramente hanno un buon sapore» scriveva nel 1870 il mandarino Yi Hou, membro della prima missione imperiale cinese nel regno di Italia, il quale nelle sue note di viaggio si lamenta tra l’altro per il fatto che mai nel nostro paese era stato invitato a banchetti importanti come, per esempio era avvenuto in Francia ed in Belgio. Se Cina ed Italia non fossero gemellate per gli spaghetti (e ancora si discute se furono introdotte da Marco Polo in Italia dalla Cina o viceversa) la diffidenza gastronomica tra i due paesi sarebbe difficilmente colmabile: ma la pasta è la pasta e tra i due paesi si tende un ponte di tagliatelle, sfruttatissime come argomento di conversazione quando italiani e cinesi siedono assieme a tavola.


Da noi, qui nell’Occidente, i primi a parlare male della cucina cinese furono i gesuiti: Lorenzo Magalotti, nel 1666, se ne fece interprete nella sua Relazione della Cina: Nella sua operetta Magalotti intervista un certo padre Grueber, tornato fresco dalla Cina e gli chiede, tra l’altro, come mai i cinesi non abbiano imparato a fare il formaggio.«Che volete – risponde padre Grueber – sono tanto superbi e mai s’indurrebbero a imparare cosa dai forestieri». Per padre Grueber «egli è ben vero che i chinesi sono tangheri nel mangiare» e a Magalotti che divertito lo ascolta, racconta come i padri gesuiti di Pechino, visto che « i chinesi nel mangiare hanno un gusto sporchissimo», si cucinano da soli lepri e fagiani per non vederli straziati dal cuoco cinese.


Passano gli anni e l’Estremo Occidente comincia a cambiare idea sulla cucina cinese: dalla Cina, verso la fine del secolo scorso, specie dalle province del sud più colpite da guerre e calamità, partono gli emigranti a fondare i primi nuclei delle popolose comunità cinesi all’estero, le future Chinatown, pullulanti di ristoranti cinesi che contenderanno alle pizzerie italiane il primato internazionale del “localino tipico”.


Quando si sente dire “amo la cucina cinese” si sta dando per scontate molte cose: esiste “la cucina cinese”?


Se solo pensiamo che in quanto a latitudine, la Cina del nord è all’altezza di Parigi mentre quella del sud è all’altezza del Cairo e in quanto a longitudine l’estensione da ovest a est è paragonabile alla distanza che passa tra Lisbona e Kiev, risulta subito chiaro che “cucina cinese” ha più o meno lo stesso significato di “cucina europea”, cioè una frase praticamente priva di significato..


La Cina, con un territorio così grande ed una storia così lunga e complessa, ha inevitabilmente sviluppato nel corso dei secoli varie cucine regionali. Molti fattori hanno causato ciò, per esempio le differenze climatiche, geografiche, le migrazioni, i trasporti, le influenza da altre culture. Sebbene non ci sia un modo solo per contare le cucine regionali, tutti sono d’accordo a considerare quattro le principali regioni culinarie: lo Shandong, il Sichuan, il Canton e lo Yangzhou. Deve essere specificato che questa divisione non ha confini precisi e tracciati come quella geografica. Il cibo pechinese, per esempio, è nel territorio della cucina shandonese, ma include piatti sichuanesi, e specialità influenzate dalla cucina mongola, mentre l’intero e popoloso della del fiume giallo, compresi Wuxi, Suzhou, Shanghai, e Hangzhou è considerata cucina dello Yangzhou. Secondo alcuni, le cucine della Cina potrebbero essere divise, considerando la caratteristiche dei piatti, in leggera cucina a sud, salata a nord, dolce a est e speziata ad ovest.


La cucina del Nord, di cui fa parte la cucina di Pechino, è una cucina robusta, che fa ampio uso di aglio e porri, dove le cotture lente e prolungate ne costituiscono una caratteristica. Ricca di influenze mongole e mussulmane, è rinomata per i piatti a base di montone e agnello. Anche i piatti di mare sono molto popolari. Il grano e non il riso è il maggiore prodotto di questa regione e per questo moltissimi piatti sono a base di pasta o ravioli. Le verdure vengono cotte molto più a lungo che nella cucina del Sud. Alcune varietà di verdure, come i cavoli, vengono messi in salamoia per essere conservati durante il lungo inverno.


La cucina delle regioni dell'Est è probabilmente la meno conosciuta al di fuori della Cina: in generale questa cucina pone l'accento sui sapori di ingredienti freschissimi e scelti con cura. Alcuni dei migliori piatti sono quelli preparati con le anguille locali, le aragoste e i granchi. Gli stufati sono molto popolari soprattutto se preparati con il metodo della "cottura rossa", nel quale il cibo viene cotto lentamente e gentilmente con brodo e salsa di soia. Lo zucchero viene usato più generosamente che in altre cucine, soprattutto per addolcire le salse.


La più ricca e sofisticata delle grandi cucine cinesi nasce nel Guangdong, la regione che ha per capitale Canton. Il clima subtropicale di questa regione permette la crescita di una enorme varietà di frutta e verdura ed ha dato vita ad una cucina varia e vivace. I metodi di cottura più diffusi sono la frittura e la cottura a vapore. I vegetali vengono appena scottati in modo che mantengano colore e consistenza. Pesce e prodotti del mare sono molto popolari. Il pesce, sempre freschissimo, guarnito ad esempio con zenzero o piccoli porri cinesi, viene cotto abilmente a vapore, bagnato di quando in quando con un leggero brodo e rappresenta alla perfezione l'eccellenza della cucina del Sud.


Ampio uso di peperoncino, aglio e pepe del Sichuan distinguono la cucina di quest’area, cucina piccante e saporitissima. Maiale, pollame, riso e verdure sono gli ingredienti predominanti di questa cucina. La saggezza popolare vuole che l'uso tanto generoso di spezie liberi il corpo dagli umori in eccesso ed aiuti a combattere gli effetti del clima molto umido della regione.  La cucina cinese è infatti molto legata alla filosofia e alla medicina. Essa distingue gli alimenti yin, femminili, umidi e teneri dunque rinfrescanti, quali sono  i legumi ed i frutti. Gli alimenti yang, maschili, fritti, speziati o a base di carne hanno un effetto riscaldante. Un pasto deve non soltanto armonizzare i gusti, ma ugualmente trovare un equilibrio tra il freddo e il caldo.


Ma a parte i banchetti ufficiali, in che cosa consiste la cucina quotidiana dei cinesi? Niente nidi di rondine, pinne di pescecane o labbra di pesce, ma buone minestre di pollo e verdura (rigorosamente alla fine del pasto, perché aiutano la digestione, mai all’inizio come si usa da noi ) e poi tagliatelle, ravioli, tanta carne di maiale cotta in modi diversi, pesce fritto o cotto a vapore… tutti cibi che al di là dei condimenti o delle spezie usate, sono molto familiari anche per noi occidentali.


Prendiamo in considerazione la particolare struttura del pranzo cinese: è una struttura che si può definire orizzontale o “sincronica” in contrapposizione alla struttura tipica del pranzo europeo, che è verticale o “diacronica”. Da noi il menù si articola infatti secondo una successione di portate scaglionate in tempi successivi: si passa quindi dall’antipasto alla frutta soffermandosi più a lungo sul piatto centrale che dà significato alla successione cronologica delle altre portate. Nel menù tipico della cucina cinese si ha invece la presentazione contemporanea di un assortimento di cibi.


Anche nel menù orientale c’è una successione verticale che interessa però solo le grandi categorie prefissate, cioè piatti freddi o entrées, piccoli piatti e grandi piatti, però all’interno di ognuna di queste categorie deve essere rispettato il principio dell’equilibrio armonico: un piatto croccante si accompagna ad un piatto sugoso, un piatto agro a uno dolce, uno piccante a uno di gusto più delicato.


La presentazione dei vari cibi procede per coordinate, non per subordinate: per capirsi, si tratta circa della stessa differenza di struttura esistente tra le nostre lingue flesse e la lingua cinese: le prime procedono per via di subordinate, mentre la seconda si articola per mezzo di coordinate con la giustapposizione di parole che, indifferenziate dal punto di vista grammaticale, assumono funzioni specifiche a seconda della posizione che occupano. Senza una minima conoscenza di questo sistema strutturale, l’occidentale rischia di perdersi in un pranzo (o in un discorso) cinese, di non seguire il filo logico in quanto è abituato all’aspettativa del piatto centrale intorno al quale costruisce il significato del pranzo e determina la propria partecipazione, cioè il consumo: piglio un poco di questo, un po’ più di quest’altro, perché voglio tenermi il posto per l’arrosto. Oppure la carne non mi interessa e quindi mi butto sugli antipasti e il dolce. Quando il menù è di tipo orizzontale, si rischia di perdersi, di mangiare troppo perché ogni portata è considerata quella risolutiva o di mangiare troppo poco perché si vuole serbare posto per la portata centrale, che poi invece non arriva o non si riesce a riconoscere come tale. È un poco il disorientamento in cui cade il lettore occidentale di un romanzo cinese nella cui struttura tipica molti episodi si susseguono apparentemente senza relazione diretta con i protagonisti, senza che si riesca a individuare un nodo drammatico centrale intorno al quale si articoli la narrazione.


 A parte l’aspetto “strutturale” del pasto, vediamo tuttavia che la materia prima del mangiare cinese (a parte gli estremismi) è molto simile alla nostra: diversamente da molti altri occidentali, italiani e cinesi hanno in comune la pasta, il riso, il pane, tante verdure, pollame, maiale, carne bovina ed ovina, tanto pesce… e molti dolci!


La chiave della cucina cinese è soprattutto la tecnica: nessuna cucina al mondo è più elastica per quanto riguarda gli ingredienti e più rigida per quanto riguarda la tecnica. La cosa divertente (almeno per me) è sperimentare la tecnica di cottura cinese ai “nostri” ingredienti: provateci e scoprirete una “contaminazione” estremamente piacevole! Ma vediamo telegraficamente quali sono le tecniche di cottura cinesi.


La cottura a vapore è molto diffusa in Cina e particolarmente a Canton. È un sistema di preparazione non solo economico è pratico ma anche molto interessante dal punto di vista dietetico e salutare: i cibi cotti al vapore conservano infatti inalterato il loro valore nutritivo e il loro sapore. Secondo i cinesi il vapore rende i cibi “teneri e puri”.


In alternativa si usa la bollitura, in particolare per le carni, che vengono prima bollite in casseruole di terracotta e poi tagnliate a fettine sottli e servite con varie salsine in cui ognuno può intingere a piacimento. Le carni bollite fredde vengono servite some antipasti assieme a verdure sottaceto.


 Il metodo di far soffriggere rapidamente carni e verdura in padella è quello più diffuso, in quanto semplice e rapido: le carni vengono tagliate a cubetti  e fatte prima marinare in una salsa di soya, saké, sale,pepe e maizena. Si friggono separatamente le carni e le verdure di accompagnamento  ed infine si rimettono tutti gli ingredienti nella padella e si cuoce ancora rapidamente per amalgamare il tutto.

I cibi fritti si differenziano da quelli soffritti poiché dopo la marinatura vengono immersi in una pastella di acqua e farina prima di venire fritti in olio abbondante di soya. Questo metodo viene usato sovente per i gamberetti e per il pesce in genere che si sfalderebbe se venisse soffritto.


Lo stufato prevedere una breve frittura ed una successiva cottura piuttosto lunga a pentola coperta con l’aggiunta di acqua o brodo.


La minestra in Cina ha una importanza capitale e chiude immancabilmente il pasto per modesto che sia. Il brodo base è fatto con delle ossa di pollo e delle fette di zenzero: si aggiungono poi verdure, funghi, tou-fu o carni tagliate alla Julienne a seconda delle varianti.


E adesso, con l’ausilio di un buon libro di cucina cinese, impadronitevi della tecnica, e scatenate la vostra creatività per inventare la cucina del “Mare di Mezzo”!


PS. Per chi non avesse colto la battuta, sappiate che il nome cinese della Cina (Zhong Guo) vuol dire “la Terra di mezzo [ai mari]” mentre il nome cinese del Mediterraneo è Di Zhong Hai, cioè “Il Mare in mezzo alle Terre”!

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