Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

mercoledì 16 ottobre 2013

Jiuhua Shan, il Monte delle Nove Bellezze



Il Monte Jiuhua  ( 九华山 Jǐuhuá Shān letteralmente “Il monte delle Nove  Bellezze”) è una delle quattro montagne sacre della tradizione buddhista cinese, assieme al Monte Wutai (nello Shanxi), al Monte Emei (nel Sichuan) e al Monte Putuo (nel Zhejiang).
Si trova nella contea di Qungyang, della provincia Anhui, ed è famoso per le sue vista stupende e i numerosi templi antichi. L'area paesaggistica del monte - che ha una superficie di 120 chilometri quadrati ed è composta da 11 siti turistici - è caratterizzata da una forte cultura buddista. Sin dalla dinastia Tang qui vennero costruiti numerosi templi ed ancora oggi sul monte Jiuhua ne sopravvivono ben 99, con più di 10 mila statue buddiste e abitati da circa mille monaci. Tra le alte cime rocciose che sembrano rincorrersi tra loro, le nove maggiori assumono la forma di fiori di loto [da qui probabilmente il nome del monte] Le sorgenti limpide, gli stagni trasparenti e le impetuose cascate danno vita ad una pittura paesaggistica tradizionale cinese. A rendere ancora più suggestivo questo luogo sono gli scenari naturali da cui è avvolto: il mare di nuvole, il sorgere del sole e i pini tra la nebbia. A Jiuhua le quattro stagioni sono ben distinte tra loro, ognuna con proprie caratteristiche. In primavera, le cime si rivestono di fiori e gli uccelli cantano armoniosamente; d'estate gli alberi sono verdeggianti e il vento dalle valli porta una brezza leggera; in autunno il monte si tinge di rosso e di giallo; d'inverno invece il monte viene stretto in una morsa di neve e ghiaccio.


Il monte Jiuhua ha anche una profonda connotazione culturale. Famosi letterati e poeti, come Tao Yuanming, Li Bai, Su Dongpo e Wang Anshi, visitarono il monte ove composero poesie e scritti eccellenti. Ed è infatti a Li Bai (vissuto nel periodo Tang) che la leggenda fa risalire l’origine del nome di questo monte: il suo nome originario Jiuzi (Nove Picchi). Ma la leggenda racconta che,  dopo un pellegrinaggio in queste montagne Li Bai scrisse i seguenti versi:

L’altro giorno, veleggiando lungo il fiume Jiujiang,
ho visto da lontano le Nove Bellezze. (jiu hua)
Sembrava un fiume celeste che scendeva dal Paradiso
e sue verdi acque creavano ricami tra gli ibischi e le rose.

Da lì il nuovo nome.

Ma la fama del monte Jiuhua è legata al culto del Bodhisattva Ksitigarbha (noto in Cina come Dìzàng) protettore degli esseri nei reami infernali secondo la tradizione buddhista Mahayana. Il tempio Huacheng, dedicato al culto di Dìzàng, è il più antico ed anche il più importante tempio dell’ insediamento. Si narra che nell’anno 401, durante la dinastia Jing, un monaco indiano di nome Huaidu, costruì in quella località un piccolo tempio buddhista. Secondo la tradizione, il principe coreano Kim Qiaoque [ma si chiamano tutti Kim Qualcosa in Corea?], dopo avere conosciuto il buddhismo in una sua visita in Cina alla corte dei Tang, ne fu talmente colpito che, tornato in patria decise di farsi monaco. Tornò poi in Cina e passò cinque anni sul Monte Jiuhua presso questo tempio, per approfondire lo studio delle scritture e meditare. Visse fino a 99 anni e pare che il suo corpo non subisse la corruzione della morte: questo fatto straordinario, unito ad una notevole somiglianza fisica al bodhisattva Ksitigarbha, portò i monaci suoi compagni a ritenere che Kim fosse un reincarnazione del bodhisattva e così il Monte Jiuhua divenne centro di culto per Dìzàng. Durante le dinastie Ming e Qing sul Monte Jiuhua si contavano 360 templi, e monasteri popolati da più di 4000 monaci e monache.



Ma chi era questo Bodhisattva indiano?

La sua storia  si trova nel Sutra dei Grandi Voti del bodhisattva Ksitigarbha, uno dei più popolari sutra della tradizione Mahayana. In questo sutra, Buddha racconta che molti eoni fa, Ksitigarbha era una fanciulla brahmina [casta sacerdotale indiana] profondamente addolorata per la morte della madre che, avendo spesso peccato durante la sua vita, era finita all’inferno. Per salvare la madre dai tormenti infernali, la ragazza vendette tutto quello che aveva per comprare offerte per il Buddha del suo tempo, noto come “il Buddha del Fiore della Meditazione e della Illuminazione” e lo pregò ferventemente di aiutarla.Un giorno, mentre stava pregando nel tempio, sentì la voce del Buddha che le disse, se voleva sapere dove fosse la madre, di tornare a casa, sedersi in meditazione e invocare il suo nome. Lei fece quanto richiesto e durante la meditazione, la sua coscienza fu trasportata in un regno infernale, dove incontrò un guardiano che le rivelò che, grazie alle sue preghiere ed alle offerte, sua madre aveva accumulato molti meriti ed era quindi salita al paradiso. La ragazza consacrata fu molto sollevata da questa notizia e sarebbe tornata a casa molto felice ma la vista di tanta sofferenza nel mondo infernale aveva talmente toccato il suo cuore che fece voto di dedicare se stessa al sollievo delle sofferenze dei dannati, non solo per tutta la sua vita, ma anche per tutte le sue vite future.

Sitografia
http://en.wikipedia.org/wiki/Mount_Jiuhua


domenica 6 ottobre 2013

Scienza e tecnica lungo la Via della Seta


Con il termine Pax Mongolica si suole indicare il periodo durato ufficialmente circa un secolo, (a partire dal 1221)  ma di fatto ben più lungo, che caratterizzò la conquista  - da parte dei Mongoli - dell’Asia Centrale e di gran parte dell’Europa: durante quegli anni  le strade che univano l’Oriente all’Occidente – quelle che noi chiamiamo tradizionalmente Via della Seta – divennero meno rischiose da percorrere, facilitando così lo scambio nelle due direzioni, non soltanto delle merci ma anche degli uomini e con essi delle idee, delle scienze e delle tecniche.

 


Sul tragitto da ovest ad est ci furono mercanti e religiosi che ebbero contatti significativi con i mongoli oramai sinizzati: il caso emblematico, universalmente conosciuto è quello di Marco Polo ma le esperienze missionarie di quel periodo – anche se meno note – non furono meno importanti. Ricordo i francescani Giovanni da Pian del Carpine, di Giovanni da Montecorvino, frate Odorico da Pordenone, Guglielmo da Rubruck: questi personaggi lasciarono relazioni di viaggio che costituiscono ancora oggi un importante strumento per la conoscenza della grande civiltà orientale.

(per chi desidera conoscere meglio questi  personaggi, che oso definire “mitici”, propongo la lettura di:






Ma come ho detto prima, non solo uomini e merci sono transitate lungo la Via della Seta, ma anche idee, conoscenze tecniche e scientifiche.

A partire dall’alchimia (quella branca del sapere che secoli dopo sarà razionalizzata fino a trasformarsi nella odierna chimica), troviamo una traccia interessante che riguarda gli acidi minerali, quelli  che si ottengono dalla reazione di anidride ed acqua e che danno origine ai sali [acido solforico, acido cloridrico, per intenderci]. La prima menzione di tali sostanze è tradizionalmente attribuita ad un frate francescano (!) tal Vital du Four nel suo testo Pro conservando sanitate  del 1295. Ebbene, una fonte cinese dell’anno 860, lo Yu Yang Za Zu (Miscellanea Yu Yang) di Duan Chengshi, parla di una pratica alchimistica appresa in India, nella quale non è difficile riconoscere l’impiego di acidi minerali «vi è in India una sostanza…che…può sciogliere erbe, legno, metalli e ferro…e scioglie e distrugge la mano di chi vuole afferrarla…».Probabilmente per veicolo dei pellegrini buddhisti cinesi che si trovavano in India e poi rientravano in Cina, la conoscenza e l’uso degli acidi minerali trasmigrò da ovest ad est e successivamente arrivò in qualche modo in Europa.

(riguardo alla diffusione del buddhismo in Cina, leggi anche: Il viaggio in occidente d San Zang e Via della seta o via dei sutra?)

Un’ altra sostanza di cui tradizionalmente si attribuisce l’invenzione ai cinesi è la povere da sparo: è questo un materiale esplosivo utilizzato come propellente per cartucce e munizioni delle armi da fuoco o per petardi e fuochi d'artificio. I più remoti riferimenti a miscele deflagranti composte da salnitro, zolfo e carbone, note come protopolveri piriche, risalgono a fonti cinesi dell'VIII e IX secolo d.C., ma il loro utilizzo era finalizzato principalmente alla fabbricazione di fuochi artificiali e sistemi di segnalazione.
Solo a partire dall'XI e XII secolo si ha notizia, sempre nelle cronache cinesi, di una loro utilizzazione nella produzione di razzi e di bombe incendiarie. Durante la dinastia Yuan (1279-1368) la tecnica di produrre polvere da sparo venne esportata, prima nel mondo arabo e poi in Europa, anche questa volta attraverso le vie carovaniere.
 
Altro esempio è fornito dalla astrologia (oggi meglio astronomia)  e la condivisione di calcoli, dati e tecniche di osservazione. Nel 1258 la cavalleria mongola aveva saccheggiato e distrutto Baghdad, ponendo fine al califfato abbasside. Ma il condottiero Hülegü Khan, ben consapevole che la conquista non è stabile se le diverse culture non si arricchiscono a vicenda, diede vita in seguito ad una esperienza di sincretismo scientifico tra le più stupefacenti: venne infatti creato nell’Azrbaijan un osservatorio astronomico dove vennero utilizzati gli strumenti più sofisticati dell’epoca e venne allestita una biblioteca scientifica con decine di migliaia di volumi. A questa esperienza collaborarono scienziati e tecnici provenienti dalla Estremo Oriente ( i cinesi Fu Mengji e Guo Shuojing) e dall’Estremo occidente (lo spagnolo Yahya ibn Muhammad  al Andalusi).

Legata in qualche modo ai problemi astronomici è stata poi la bussola, una delle più importanti invenzioni attribuita ai cinesi. Pare che in origine utilizzassero tale scoperta come spettacolo d'attrazione: delle lancette magnetizzate venivano lanciate come si fa coi dadi e queste, per lo stupore degli spettatori presenti, finivano per indicare sempre il Nord. Passò molto tempo prima che questa "attrazione circense" fosse applicata alla navigazione: una volta conosciuta la posizione del Nord, infatti, era poi possibile identificare altre direzioni. Durante la dinastia Song (960-1279), i cinesi trovarono il modo per magnetizzare degli aghi di acciaio, strofinandoli contro delle magnetiti:  facendoli galleggiare in un contenitore con dell’acqua ottennero una bussola portatile che fu molto utile per la navigazione. Le navi cinesi poterono avventurarsi più sicuramente nell’oceano indiano e iniziarono a stabilire relazioni commerciali col mondo indiano e quello arabo.
Fu così che l’uso della bussola si diffuse anche nei paesi arabi e successivamente in Europa.

 


Sempre in campo tecnico, non possiamo sorvolare sul fatto che la Cina è stata la prima civiltà ad introdurre l’uso della carta: fino dai tempi della dinastia Han, circa 2000 anni fa, troviamo tracce di uso di un tipo di carta di grossolana fattura e spessa, ottenuta da fibre di canapa macerata. L’arte di fabbricare la carta si sviluppò rapidamente nei secoli raggiungendo elevati livelli di qualità. Nell’VIII secolo, attraverso la Via della Seta, gli arabi iniziarono ad imparare a fabbricare la carta, ma dovettero passare altri 400 anni perché l’uso della carta si diffondesse in Europa, guarda caso a partire dall’Italia, che ne rimase per molto tempo uno dei principali produttori ed esportatori verso l’Europa settentrionale

Con la invenzione della carta e dell’inchiostro, iniziò a prendere piede anche la tecnica di stampa: durante la dinastia Tang i testi venivano scritti su una carta sottile che poi veniva incollata rovesciata su un blocco di legno: ogni carattere veniva poi intagliato ottenendo così l’immagine di una pagina di stampa che veniva inchiostrata e premuta sui fogli per la riproduzione. Questa tecnica era lenta e costosa perché richiedeva ovviamente un blocco di legno intagliato per ogni pagina da stampare. Il frontespizio del più antico libro stampato in questo modo – Il Sutra di Diamante – stampato nell’anno 868, è stato scoperto nelle Grotte di Dunhuang, lungo la Via della Seta. Durante la dinastia Song, fu Bi Sheng a ideare l’intaglio di singoli caratteri in piccoli cubetti di argilla che una volta cotti diventavano resistenti e quindi capaci di molteplici utilizzi: i cubetti venivano quindi assemblati ed incollati su un piano metallico per generare la pagina da stampare e poi rimossi e riutilizzati per altre pagine. Questa tecnica si diffuse rapidamente in Corea, Giappone e Vietnam attorno all’anno 1000. Tuttavia i caratteri di argilla erano molto fragili: nel 1298 Wang Zhen introdusse un tipo più resistente ottenuto intagliando il legno, ma poco dopo, in Corea,  ci fu la transizione ai caratteri mobili in metallo.E’ molto probabile che la tecnologia impiegata in Asia possa essersi diffusa in Europa attraverso le vie di commercio per l’India o per il mondo arabo: tuttavia non si ha alcuna prova che Gutenberg (inventore dei caratteri mobili nel modo occidentale, introdotti nel 1440) possa essere stato a conoscenza della tecnologia coreana, anche se la coincidenza temporale delle due invenzioni fa dubitare della loro totale indipendenza.

 

Concludendo, possiamo dire che uomini idee e tecniche viaggiarono incessantemente nei due sensi durante la Pax Mongolica: e questo dimostra ancora una volta – se ce ne fosse bisogno – che anche la Cina, considerata erroneamente un impero chiuso e immobile per due millenni, fu in realtà un enorme organismo vivente che, come una spugna, assorbì e restituì uomini, idee e tecniche.

 

Sitografia

http://it.wikipedia.org/wiki/Quattro_grandi_invenzioni_dell'antica_Cina





http://it.wikipedia.org/wiki/Bussola