Dao De Jing

Senza uscire dalla porta di casa puoi conoscere il mondo,
senza guardare dalla finestra puoi scorgere il Dao del cielo.
Più si va lontano, meno si conosce.
Per questo il saggio senza viaggiare conosce,
senza vedere nomina, senza agire compie.
Dao De Jing, Lao Zi

venerdì 20 marzo 2015

Teodorico Pedrini, missione e musica alla corte di Kang Xi





Inviato a Pechino dal Papa in qualità di ambasciatore, Teodorico Pedrini, meno noto di Marco Polo e Matteo Ricci, è però stato ugualmente una figura fondamentale nell’integrazione culturale tra Cina e Italia.

Teodorico Pedrini, figlio del principale notaio di Fermo nelle Marche,  nato nel 1671, prese la tonsura nel 1687 e gli Ordini minori nel 1690. Frequentò l'Università di Fermo, laureandosi in Diritto Civile e Canonico il 26 giugno 1692. Nel dicembre 1897 ricevette il suddiaconato e nel marzo 1698 fu ordinato dapprima diacono e poco dopo  presbitero nella Basilica di San Giovanni in Laterano in Roma. A Roma il giovane Teodorico, insieme alla sua vocazione, incrementa anche la sua passione per la musica, che aveva coltivato quando studiava dai Padri Filippini a Fermo, sicuramente incontrando e forse seguendo le lezioni di Arcangelo Corelli, molto legato agli ambienti marchigiani della capitale.

Tournon
Parallelamente alla musica, la vita di Pedrini è scandita dai passaggi della sua vita di sacerdote e missionario. Il 24 febbraio 1698 entra nella Congregazione della Missione di San Vincenzo de’ Paoli, fondata a Parigi nel 1625, chiamata anche dei Lazzaristi, due anni dopo prende i voti e poco dopo la Congregazione lo indica tra i possibili missionari per la Cina. Probabilmente in questa indicazione non fu estraneo il fatto che il Card. Carlo Maillard de Tournon, Legato Papale in Cina nel 1702, era procuratore a Roma del Vescovo di Fermo Cardinale Baldassarre Cenci.

Ed infatti, dietro mandato di Papa Clemente XI, marchigiano anche lui, nel Gennaio 1702 parte per la Cina, ma passando dall’altro lato del mondo, non secondo la rotta tradizionale intorno al Capo di Buona Speranza e poi Madagascar, India, la penisola di Malacca e Macao, ma andando in Francia e partendo da lì per l’America del Sud e quindi le Filippine. Si può pensare che prese la rotta “francese” piuttosto che quella “portoghese”, già marcando così metaforicamente il percorso di avvicinamento all’universo cinese da lui scelto, o a lui destinato. Ma in realtà non si tratta tanto di una metafora se si pensa che il transito "portoghese" comportava una preventiva accettazione delle direttive e dell'autorità del Re di Portogallo, il cosiddetto Padroado, che Pedrini, come si vedrà, non aveva alcuna intenzione di seguire.




Il suo viaggio, iniziato da Roma il 12 gennaio 1702, fu lunghissimo e avventuroso: attraverso la via francigena, fino a Siena e Livorno, quindi per nave a Tolone, e poi a Parigi. Benché selezionato per far parte della prima legazione papale del Patriarca Tournon, non riuscì ad incontrarlo e, dopo un anno e mezzo di permanenza a Parigi, il 26 dicembre 1703 partì con altri missionari da Saint-Malo su una nave francese diretta nell'America del sud. Il suo viaggio toccò la Terra del Fuoco, dove i passeggeri del “Saint Charles”, così si chiamava il galeone su cui viaggiava, passarono dei momenti piuttosto brutti tra le tempeste; e quindi il Cile e poi il Perù, dove arrivò solo alla fine del 1704 e rimase per più di un anno, ospite prima del Viceré Conte di Monclova e poi dei Filippini. Nel 1705 si recò in nave in Guatemala poi via terra fino in Messico; ma era troppo tardi per prendere il “Galeon de Manila” che viaggiava annualmente da Acapulco verso le Filippine; e dal momento che quello del 1706, come riferiscono le cronache, non partì affatto, dovette fermarsi ancora molto tempo, fino al marzo 1707, per effettuare il viaggio che lo portò a Manila, dove giunse solo il 9 agosto.

Nel frattempo il Legato Tournon, alla cui missione era destinato anche Pedrini, era arrivato in Cina già nel 1705 e lo stava cercando in giro per il mondo, rimproverandogli il suo ritardo. Ma non è che Teodorico non ci provasse. Nell’ottobre 1707 tenta di andare anche lui a Macao ma il mare lo rimanda indietro nelle Filippine; effettua un secondo vano tentativo nel 1708, e solo nel novembre 1709 riesce ad imbarcarsi per Macao, e sarà la volta buona.

Teodorico arriva a Macao il 5 gennaio del 1710. Finalmente è in terra di Cina, anche se molto portoghese, ma ben otto anni dopo essere partito! In Cina nel frattempo era successo tutto senza di lui, la missione di Tournon era fallita, c'erano stati decreti contrastanti tra l'Imperatore ed il Legato, che era ora ristretto in cattività e sarebbe morto di lì a pochi mesi, ed il suo collega lazzarista Ludovico Antonio Appiani era stato rinchiuso in una galera da cui sarebbe uscito solo nel 1726.

Teodorico, in una sua lettera del 1712, dissimula un comprensibile sospiro di sollievo dietro il ringraziamento alla Divina Provvidenza che, facendolo arrivare in clamoroso ritardo, gli aveva risparmiato queste brutte esperienze e lo aveva tenuto in vita, affinché proprio lui raccogliesse quel testimone e continuasse la missione di Cina. Con la morte di Tournon, cui anch'egli assistette nel giugno 1710, quando aveva 39 anni, più o meno esattamente nel mezzo della sua vita, inizia per Teodorico Pedrini quella che si può chiamare senza dubbio la sua seconda esistenza.
Kang Xi

Su designazione dello stesso Tournon, l’Imperatore Kang Xi lo chiamò a Pechino, non senza fargli prima studiare un po’ di cinese a Canton. A Pechino arrivò il 6 febbraio 1711, e lì si stabilì, concretizzando un doppio primato: fu il primo missionario lazzarista, ed il primo sacerdote non gesuita, a stabilirsi nella capitale cinese.

Quando si dice il caso: da quando Padre Matteo Ricci, partendo anche lui dalle Marche, giunse a Pechino nel 1601, nessun altro missionario non gesuita era riuscito ad avvicinarsi all’Imperatore. La vita di questi due preti, nati a una quarantina di chilometri di distanza l’uno dall’altro, doveva trovare un destino analogo, e in un certo senso - si vedrà - contrapposto, nello stesso luogo, alla stessa corte, ma ad un secolo e a migliaia di chilometri di distanza, o meglio, a “più di diecimila lì”, come diceva l’Imperatore.



Quando entrò nella grande sala del trono di Kang Xi. L’Imperatore stava seduto su una grande pedana coperta da un tappeto, vicino aveva un tavolino con tutto il necessario per scrivere, e “alla destra e alla sinistra vi stavano quattro gesuiti: cioé li padri Suarez, Stumpf, Parrenin, Giartù, con i piedi giunti e colle braccia pendenti, secondo richiede la modestia e rispetto della Cina” (scrive Matteo Ripa – un confratello - nel suo diario). Già da questo primo approccio con la corte, Teodorico deve aver messo a fuoco il rapporto dei missionari lì presenti con l’Imperatore e forse già immaginato i problemi a cui sarebbe andato incontro di lì a pochi anni.

E’ bene chiarire subito un aspetto: Teodorico Pedrini aveva un carattere un po’ ostico e spinoso. Era un tipo sincero ma intransigente, passionale ma severo; non è vero che fosse poco diplomatico, come da più parti si è sostenuto, sapeva quando era il momento di cedere. Aveva un notevole sense of humor e una grande cultura. Le sue lettere sono piene di citazioni dai classici, ma anche di sarcasmo e di battute di spirito e portate in giro. Se anche le persone a lui più vicine non poterono esimersi dal criticare alcuni suoi comportamenti forse impulsivi o draconiani, possiamo immaginare le critiche di chi invece era a lui avverso.

Ma per sua fortuna Pedrini godette subito della stima e dell’interesse di Kang Xi che, da principe aperto e colto quale era, volle vicino a sé il valente musicista finalmente giunto a Pechino più di due anni dopo la morte di Tomas Pereira, altro missionario musicista morto nel 1708, e gli affidò l’insegnamento di tre dei suoi numerosi figli e il compito di continuare l’opera lasciata incompiuta dal Pereira, e cioè il primo trattato di teoria musicale occidentale pubblicato in Cina: il LǜlǚZhèngyì-Xùbiān (律呂正義續編 - 1714), in seguito confluito nella monumentale opera enciclopedica, denominata Siku Quanshu, pubblicata integralmente nel 1781


Diventando precettore dei figli dell'imperatore, Pedrini acquisì grandi favori a corte ed il diritto di fregiarsi del titolo di docente presso la corte imperiale. Pedrini si occupò anche della costruzione e del restauro di strumenti musicali dell'Imperatore.
Scrive il confratello Matteo Ripa nel suo diario:“…andava il sig. Pedrini colla sua abilità nella musica […] sempre più crescendo nell’affetto di quel gran monarca, tanto che se avesse avuto meno fuoco e più prudenza […] avrebbe ottenuto da quel potentato tutto quello ch’avesse voluto…”.

Teodorico fu il primo missionario occidentale a parlare all'imperatore cinese del contenuto dei decreti papali in materia di riti cinesi; le sue relazioni riferiscono a Roma la reazione di pacifica tolleranza da parte di Kang Xi verso le decisioni papali; questo gli procurò l'ostilità dei missionari gesuiti, che erano contrari a tali decreti.

Le vicende dottrinali che investirono la missione in Cina tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento, ebbero infatti in Pedrini uno dei principali protagonisti. La cosiddetta “Controversia dei riti cinesi” riguardò il modo di intendere la pratica religiosa cristiana, specialmente in rapporto alle pratiche cinesi di derivazione confuciana, che i gesuiti, sulla scia dell'insegnamento di Matteo Ricci, erano disposti a tollerare per i cristiani convertiti.  [si trattava dei rituali di culto degli antenati (attraverso le  cosiddette "tavolette dei defunti"), in uso in Cina da secoli, dei riti legati ai cicli stagionali (riti equinoziali), e del nome con cui definire il Dio dei cristiani (“Tiān Zhu”, Signore del Cielo, “Shang Di”, Signore supremo, o “Tiān”, Cielo)]. Pedrini fu tra quei pochissimi missionari che in quel contesto rimasero sostenitori delle posizioni della Santa Sede, la quale ripetutamente aveva proibito  la commistione delle liturgie cristiane con le pratiche confuciane.


A partire dalla metà del ‘600 gli ordini predicatori prima ed i missionari di Propaganda poi, tra cui i Lazzaristi, sostennero una maggiore osservanza, pretendendo che si adottasse il solo nome “Tiān-zhu” per il Dio cristiano e non ammettendo i rituali di omaggio ai defunti nelle modalità tipiche della civiltà cinese, né la partecipazione ai riti stagionali di derivazione confuciana.
La Santa Sede fu investita diverse volte del problema e prese diverse decisioni nel corso del tempo: ad un primo decreto contrario del 1645, seguì un decreto tollerante del 1656. Nel 1693 il Vicario Apostolico del Fujian Charles Maigrot emanò una direttiva molto precisa e nettamente proibitiva di queste pratiche; fino a che Papa Clemente XI, con tre successivi atti (le Costituzioni Apostoliche del 1704 e del 1710, e la bolla Ex Illa Die del 1715) dichiarò la inammissibilità dei cosiddetti “Riti Cinesi” e impose a tutti i missionari di proibirli. La parola fine sulla discussione fu quindi posta da Benedetto XIV nel 1742 con la Bolla Ex Quo Singulari.

Questa divergenza di vedute fu il filo conduttore di tutta l'esperienza missionaria di Pedrini, che lo portò, tra alterne vicende, al drammatico episodio del 1721, quando, al termine della seconda legazione papale guidata da monsignor Carlo Ambrogio Mezzabarba, si rifiutò di firmare la relazione sugli eventi chiamata Diarium Mandarinorum, e fu per questo punito dall'imperatore e successivamente rinchiuso fino al 1723, nella casa dei gesuiti francesi di Pechino.
Yong Zheng
Il drammatico periodo terminò con la morte dell’Imperatore Kang Xi nel dicembre 1722, e con l’ascesa al trono di Yong Zheng, che era stato suo allievo e che, agli inizi del 1723, lo fece subito liberare.
Una delle sfaccettature del suo carattere vulcanico era una notevole dose di ironia e sarcasmo; come quello rivolto al fratello Priore di S.Michele Arcangelo: “S’ella vuol venire a starci [in Cina], e lasciar il boccone da Prete del suo Priorato, potrà qui ergersi a Priore, e Posteriore come vuole, stando solo; s’abbi cura però delle bastonate Cinesi, e delle Prigioni de’ Giesuiti; Io hò provato l’une, e le altre…” (Lettera al fratello Eraclito, 31 ottobre 1724, C.M. Roma).

Ma il periodo di “clausura” di Teodorico non fu infecondo: è proprio durante la detenzione che  Pedrini scrisse le uniche composizioni di musica occidentale conosciute in Cina nel XVIII secolo, le “Dodici Sonate a Violino Solo col Basso del Nepridi – Opera Terza”, il cui manoscritto originale è tutt'oggi conservato nella Biblioteca nazionale della Cina. Le musiche di Pedrini sono state incise nel 1996 dal gruppo francese XVIII-21 Musique des Lumières (ora XVII-21 Le Baroque Nomade), diretto da Jean-Chrisophe Frisch, con il titolo Concert Baroque à la Cité Interdite (CD ed. Audivis Astrée E 8609).


La redazione del trattato di teoria musicale, unitamente alle composizioni musicali rimaste in Cina, pone storicamente Teodorico Pedrini tra i principali artefici dell'introduzione della musica occidentale in Cina.

La prima preoccupazione di Teodorico, non appena riacquistata la libertà, fu quella di comprare una casa e di farne una residenza per i missionari di Propaganda Fide ed una chiesa. Giudicò insufficiente quella scelta da Matteo Ripa e per circa 1.900 taels ne acquistò una più grande, con sessanta stanze, lunga 270 piedi (circa 80 metri), nel quartiere di Xitang, lungo una grande strada di accesso ad ovest della Città Proibita, ed in questo luogo aprì la “sua” chiesa, dedicata alla Nostra Signora dei Sette Dolori. Era questo un altro piccolo ma importante primato stabilito da Pedrini, essendo la prima chiesa non gesuitica aperta a Pechino, sin dai tempi di Matteo Ricci, chiamata la “Chiesa dell’Ovest” (le altre essendo denominate Nantang “Chiesa del Sud”, Dongtang “la Chiesa dell’Est” e Beitang “la Chiesa del Nord”). Più tardi ebbe modo di riferire in una sua lettera, con un certo, peraltro comprensibile, compiacimento che tra i cristiani cinesi si diceva “andare alla chiesa di Pedrini” con il significato di ‘rispettare le Costituzioni della Santa Sede’ (lettera a Matteo Ripa del 4 settembre 1744).

Qian Long
Purtroppo, all’età di 59 anni, i suoi problemi non erano ancora finiti. Questa volta però non vennero dagli uomini, ma dalla natura. Il 30 settembre 1730 ci fu a Pechino un tremendo terremoto che fece più di centomila vittime, e danneggiò seriamente la chiesa-residenza così faticosamente costruita da Pedrini. La caparbietà del prete fermano trovò il modo di ricostruire la chiesa, ed il fatto che fosse concepita come una chiesa all’interno di una residenza missionaria, fornì all’imperatore Qian Long, il successore di Yong Zheng nel 1735, la scusa per non requisirla e eventualmente distruggerla, come fece con tutte le altre chiese cristiane in Cina, e questo perché il nuovo imperatore, il terzo nella vita di Pedrini, era stato molti anni prima suo allievo di musica e conservava ancora un affettuoso ricordo del suo maestro.
Ed infatti Qian Long lo richiamò a corte nel 1741, a riparare e riaccordare i vecchi clavicembali, e magari a fare ancora musica per lui. Ma Pedrini era ormai vecchio e stanco. A settant’anni passati, aveva visto passare otto Papi a Roma e tre Imperatori a Pechino, aveva sfidato la sorte e si era fatto molti nemici, ma aveva costruito una chiesa ed aveva anche molti fedeli i Cina ed a Roma   godeva di un prestigio incrollabile.

Negli ultimi tempi forse percepì i segni della fine di un’epoca: i suoi avversari, come i suoi amici, erano quasi tutti morti, ed anche la Compagnia di Gesù di lì a pochi anni sarebbe stata soppressa; ed allora chissà perché volle distruggere tutti i suoi documenti e tutte le lettere che sicuramente ricevette dall’Italia e in particolare da Fermo. Ed anche la sua chiesa – il “sogno di Pedrini” - fu distrutta nel 1811: quella che si vede oggi sulla Xizhimen è un rifacimento successivo.


Teodorico Pedrini morì, senza aver mai fatto ritorno in Italia, il 10 dicembre 1746 nella sua residenza di Xitang e fu sepolto a Pechino, nel cimitero di Propaganda Fide. La sua stele funeraria, presente a Pechino fino alla metà del secolo scorso, oggi non esiste più.
L’Istituto Confucio di Pisa ha sta promuovendo una serie di eventi sul tema della diffusione e integrazione tra due culture geograficamente e concettualmente lontane quali quella cinese e la nostra, uno dei quali è stato un concerto dell’Ensemble Alraune dal titolo “Un Violinista in Cina” interamente dedicato alla figura di Teodorico Pedrini.

Un concerto interessante che ha offerto uno spunto di riflessione sulla figura di Pedrini, che già 300 anni fa ha avvicinato due culture geograficamente molto lontane, quella italiana e quella cinese, e che sfida il luogo comune su come dialogare con la Cina” – spiega ad AgiChina Nicola Bellini, Co-Direttore dell’Istituto Confucio di Pisa e docente ed economista presso l’Università Sant’Anna di Pisa. Ma Pedrini rappresenta un punto di vista particolare nel tema dell’integrazione e contaminazione tra culture diverse. “La musica di Teodorico Pedrini  - continua Bellini –per quanto stampata, pubblicata e scritta in gran parte a Pechino, è una musica ostinatamente occidentale, che non entra in compromessi né acustici, né armonici con la Cina”. Pedrini diventa quindi “un ponte culturale importante nei confronti della Cina, ma un ponte che ha tenuto ben distinte le due culture e che non ha accettato la contaminazione” - spiega il direttore dell’Istituto Confucio di Pisa.

Sitografia:





mercoledì 11 marzo 2015

Il monte sacro dell’ isola Putuo: spiritualità e pragmatismo.



I mercati finanziari cinesi sono più attivi che mai e continuano a sorprendere: il Quotidiano del Popolo, lo storico giornale del partito comunista, da più di un anno  è passato dalla parte dei capitalisti quotandosi in borsa. Ma il fascino della Borsa ha ammaliato perfino i monaci buddisti: anche i monasteri della montagna di Putuo hanno deciso di quotarsi in Borsa.

Il Monte Putuo  è una delle quattro montagne sacre del buddismo cinese, dove ogni anno milioni di fedeli buddhisti si recano in pellegrinaggio per onorare la grande statua della dea della misericordia Guanyin. Ad alcune ore di viaggio in barca in direzione sud da Shanghai o un oretta in direzione nord da Ningbo  si trova l'isola di Putuoshan, che copre un'area di soli 12 kmq, ed è divisa dall’isola di Zhoushan, di dimensioni molto più grandi, da uno stretto canale. Il piccolo monte che sorge sull’isola (solo 300m) dai cinesi viene chiamato anche «la fatata terra degli Immortali». Indubbiamente è uno dei luoghi più incantevoli dell’intera Cina, dove al posto di automobili e grandi magazzini ci sono solo un mare azzurro che si stende all’infinito, spiagge sabbiose, colline lussureggianti e monasteri antichi, tutti elementi che rendono il posto ideale dove fuggire dal rumore, dal traffico e dall’inquinamento delle grandi città, e fare delle belle escursioni a piedi.



 In un Paese in cui il Partito Comunista accetta tutte le fedi religiose - purché sotto il controllo del governo - e cerca di soddisfare anche il bisogno di spiritualità sempre più diffuso tra i cittadini, l’iniziativa dei monasteri di Putuo sta provocando effetti paradossali. Gli alti dirigenti addetti alle questioni di culto fanno di tutto per smentire l’immagine  di una Cina spietata e materialista: “Quest’idea danneggia l’immagine della religione e offende la sensibilità dei fedeli - dice all’agenzia Xinhua Liu Wei, rappresentante dell’Amministrazione Statale Affari Religiosi- e se guardiamo a quello che succede nel resto del mondo, nessun luogo di culto è mai stato quotato sui mercati prima d’ora”. Secondo Liu Yuanchun, ricercatore che si occupa di buddismo per l’Accademia Cinese di Scienze Sociali, l’operazione potrebbe essere addirittura contro la legge: “Le norme stabiliscono che i siti storici, culturali e religiosi di proprietà dello Stato non possono essere impiegati per il business. Un tempio buddista è un bene pubblico che appartiene allo Stato, non ai manager del complesso turistico o al governo locale”. Non è la prima volta che in Cina un luogo religioso tenta la scalata ai mercati: tre anni fa i monaci del Tempio Shaolin - già accusati di aver trasformato la presunta culla del kung fu in una specie di Disneyland delle arti marziali - furono costretti a ritirare il progetto di esordio sulla Borsa di Shanghai, ma l’idea delle autorità dello Zhejiang sta entusiasmando i gestori di altri picchi sacri, come Wutai nello Shanxi e Jiuhua nell'Anhui, abbagliati dal miraggio di un boom di guadagni.
 Sono almeno mille anni che i pellegrini di religione buddista di tutta l'Asia nord-orientale vengono a Putuoshan, e circolano molte leggende che spiegano perché l’isola è al centro del culto di Guanyin, la dea della misericordia. Guanyin è il nome cinese della  figura del bodhisattva Avalokiteśvara, il bodhisattva della compassione: la sua popolarità è legata alla larga diffusione in Cina della traduzione del Sutra del Loto. L’origine di questa figura religiosa è tutt’oggi controversa, tuttavia la maggioranza degli studiosi ritiene  che sia stata originata dalle comunità buddhiste collocate ai confini nord-occidentali dell'India. Il nome deriva da Avalokita [colui che guarda] e iśvara [signore]: «Signore che guarda». Reso inizialmente da Xuanzang  il famoso pellegrino e traduttore cinese, come Guan Zi Zai (觀自在)  ovvero come «Colui che osserva con libertà», fu poi trasformato in Guanyin. Questa è una abbreviazione di Guan Shi Yin: guān (): termine cinese che rende il sanscrito vipaśyanā nel significato meditativo di «osservare, ascoltare, comprendere»; shì (): termine cinese che rende il sanscrito loka quindi la «Terra, mondo» ma originariamente riportava anche il significato di sasāra, il ciclo sofferente delle nascite, yīn (): termine cinese che rende numerosi termini sanscriti (come ghoa, ruta, śabda, svara, udāhāra) che significano suono, voce, melodia, rumore» e termini simili. Accanto a shì (), il doloroso sasāra, yīn () acquisisce il significato di "suono del doloroso sasāra" quindi di lamento, espressione della sofferenza. Quindi Guān Shì Yīn (觀世音) è «Colei che ascolta i lamenti del mondo», il bodhisattva della misericordia.
 Narra una leggenda che Guanyin era la figlia di un uomo ricco e crudele che ambiva per lei a un matrimonio di interesse, volto ad aumentare il prestigio sociale della famiglia. Ma Guanyin aveva altro in mente: desiderosa di raggiungere l’illuminazione spirituale, disobbedì al padre e fuggì, trovando rifugio in un tempio proprio nell’isola di Putuoshan, dove fin dall'inizio si fece apprezzare per il suo atteggiamento gentile e caritatevole. Tuttavia, tale fu l’ira di suo padre che, a causa del suo gesto, la fece uccidere. In virtù dei meriti acquisiti con le tante buone azioni compiute nella sua pur breve vita, a Guan Yin si erano schiuse le porte del Paradiso: ma mentre si accingeva a varcare i cancelli del Cielo, Guanyin udì un grido elevarsi dal di sotto. Era il grido di una persona che soffriva sulla terra, il grido dì qualcuno bisognoso del suo aiuto. In quel preciso istante, essa giurò di non abbandonare il mondo degli uomini fintanto che tutti, nessuno escluso, fossero stati liberati dal tormento e dal dolore. In seguito a questa promessa, Guanyin fu trasformata in una Dea. Oggi la dea è oggetto di grande culto, in quanto le viene attribuita la facoltà di guarire coloro che soffrono nel corpo e nello spirito, proteggendo altresì madri e figli ridotti alla disperazione, e addirittura i marinai sorpresi dalla burrasca. 
 Secondo un'altra storia, infatti, il monaco giapponese Hui'e, stava tornando a casa sulla sua barca ma fu colto da una violenta mareggiata: devoto di Guanyin, chiese aiuto alla dea che gli fece trovare un riparo proprio a Putuoshan. Il monaco rimase a tal punto incantato dalla bellezza dell’isola che vi si stabilì e costruì un santuario dedicato a lei.
Numerose sono le famiglie cinesi che tengono una statuetta di Guanyin in un angolo tranquillo della casa; non di rado queste statuette raffigurano la Dea avvolta in un manto bianco, seduta su di un trono composto da un fiore di loto, mentre stringe fra le braccia un bambino piccolo. Fiori, frutta o incenso vengono deposti in segno di offerta al cospetto di questi templi domestici.
  Certo è che nel corso degli anni  sull isola sono stati edificati più di un centinaio di monasteri e santuari, con magnifiche sale e giardini. Ci fu un periodo in cui sull’isola si trovavano addirittura 4000 monaci, e nel 1949 la comunità buddista contava ancora 2000 persone. A quell’epoca le strutture secolari erano vietate sull’isola, popolata solo da religiosi. Nonostante le grandi distruzioni nel corso del tempo, molti dei tesori di Putuoshan sono sopravvissuti, e alcuni di essi sono conservati nel Museo provinciale dello Zhejiang di Hangzhou. In ogni caso, le opere di restauro continuano a buon ritmo. Attualmente sull’isola ci sono tre monasteri principali: Puji, il più antico e centrale; Fayu, sulle pendici meridionali; e Huiji, sulla cima. Ci sono anche diversi templi e monumenti minori. Molte persone vengono qui con l’intento specifico di chiedere dei favori alla dea, spesso inerenti alla nascita di figli e nipoti. All’arrivo sull’isola è d’obbligo pagare una tassa che varia da estate a inverno, 160/140¥. [e qui si comincia già a capire il distacco dai beni materiali del mondo buddhista cinese…]. Sulla punta meridionale dell’isola si trova il luogo di maggior interesse, il Guanyintiao (Salto di Guanyin), un promontorio dal quale si innalza una spettacolare statua placcata in bronzo alta 33 metri della dea della misericordia, visibile praticamente da ogni punto dell’isola.



Nella mano sinistra Guanyin tiene un timone, che protegge simbolicamente i pescatori (e i monaci girovaghi come Hui'e) dalla violente tempeste. I pescatori e gli abitanti dei villaggi sul mare considerano Guanyin una salvatrice, che da sempre li difende dalla furia del mare. In un padiglione alla base della statua è esposta una piccola mostra di dipinti su legno che raccontano di come Guanyin abbia aiutato gli abitanti e i pescatori di Putuoshan nel corso degli anni, mentre in una piccola stanza che si trova direttamente sotto la statua sono custodite 400 statue minori che rappresentano le varie incarnazioni spirituali della dea. Dalla base della statua si ha una vista sublime sulle isole circostanti e sulle barche da pesca, soprattutto nelle giornate serene. 
 La costa dell’isola è in gran parte rocciosa, tuttavia esistono grandi spiagge di sabbia fine e chiara  che, inaspettatamente, dispongono di attrezzature per il noleggio – come tende e ombrelloni. Le due maggiori spiagge si trovano nella parte est del Monte Putuo: La spiaggia dei cento passi e La spiaggia dei mille passi (ingresso attorno ai 15¥). 



 I tre principali templi dell’isola sono in condizioni estremamente buone e sono stati da poco restaurati; la calda tonalità giallo ocra delle loro mura si staglia sul verde scuro degli alberi dei parchi che li circondano. Questa descrizione si adatta in particolare al Puji Si, (ingresso 5¥), che si trova proprio nella piazza principale del piccolo borgo dell’isola; fu costruito nel 1080 e venne ampliato in seguito. Sorge fra magnifici alberi di canfora e vanta un ponte ai lati del quale sono poste delle statue, e una pagoda alta ed elegante dotata di un'enorme campana di ferro. Qui dalle 4.30 fino alle 7 del mattino, si svolge il rituale, aperto al pubblico, praticato dai monaci buddisti. La parte che  colpisce di più di questo tempio è un’immensa lastra di marmo raffigurante una schiera di divinità, sita nella parte più alta del monastero.



 A sud di qui, immediatamente a est dei laghetti della piazza, si trova la pagoda Duobao, costruita nel 1334; è alta cinque piani e ha iscrizioni buddiste sui quattro lati. Le pietre che sono state utilizzate per costruirla provengono dal Tai Hu, nella provincia del Jiangsu.





In direzione sud lungo l’angolo sud-orientale dell’isola si trova la grotta Chaoyin Dong, notevole per il suono delle onde che si infrangono, che sarebbe simile a quello della voce del Buddha (per questo motivo in passato tanti monaci si sono suicidati buttandosi da qui). Il vicino Zizhu Si (Tempio del Bambù Purpureo) è uno dei templi meno turistici dell’isola, e perciò uno dei posti migliori dove osservare i rituali quotidiani dei monaci.  



Da qui è possibile vedere La cima del Buddha, (Fodingshan) dove si trova il tempio Huiji. da dove si ha una splendida vista sul mare e sulle isole vicine. Questo tempio non è antico come il Puji (fu costruito in gran parte fra il 1793 e il 1851) e sorge in una bellissima zona a nord-ovest della cima, circondata da verdi piantagioni di tè. Le sale del tempio sono situate in una zona pianeggiante fra vecchi alberi e boschetti di bambù, e le diverse tonalità di verde, rosso, azzurro e oro delle piastrelle smaltate brillano alla luce del sole.




 Un sentiero conduce alla vetta del monte, ma per chi non se la sente è possibile salire, e scendere, in funivia (A/R 50¥). Scendendo a piedi ci si imbatte in devoti intenti nella loro scalata verso il Buddha. Ogni tre passi si fermano, inginocchiano, pregano e ripartono. Spostarsi da una parte all’altra dell’isola è molto semplice, dei minibus sono a disposizione dei turisti, e i prezzi variano tra 5/8¥ per tratta. 

Alla fine della visita, il portafoglio pesa decisamente meno, ma l’animo si è arricchito molto di più!


Sitografia







http://www.putuoshan.net/English/Seeings/huiji%20temple.php